differenza tra la legge e la applicazione della legge

“La legge è uguale per tutti, ma non necessariamente lo è la sua applicazione” – Niccolò Ghedini, avvocato e rappresentante legale di Silvio Berlusconi

fonte: la Repubblica

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Dimissioni di Luigi De Magistris

di Luigi De Magistris* – 1° ottobre 2009
Al Sig. Presidente della Repubblica – Piazza del Quirinale ROMA
Signor Presidente, scrivo questa lettera a Lei soprattutto nella Sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.

E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute della democrazia nella nostra amata Italia.
E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’Ordine Giudiziario.
Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione.
Sebbene l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene, io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che avevo sognato fin dal momento in cui mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura ce l’ho nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per diventare uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto immaginare destinata a un epilogo così buio. E’ cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche con umiltà ed equilibrio, la missione della mia vita professionale, come in modo spregiativo la definì il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti davanti al Csm. Per me, esercitare le funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana significava tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che sale dai cittadini in nome dei quali la Giustizia viene amministrata. Quei cittadini che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, signor Presidente, che è il custode della Costituzione, ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso.
I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che ho deciso di sventolare anch’io l’agenda rossa di Borsellino, portata in piazza con immensa dignità dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita debba dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo, anche a costo della vita. Per questo decisi di assumere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato: la Calabria. Una terra da cui, in genere, i magistrati forestieri scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece avevo deciso (ingenuamente) di restare.
Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40, lavorando mai meno di dodici ore al giorno, spesso anche di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto: rifarei tutto, con le stesse energie e il medesimo entusiasmo.
In questi anni difficili, ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, un gruppo di validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta, però, si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla de-legittimazione del mio lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, ma il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dalla stessa magistratura. Signor Presidente, a Lei non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e colleghi , revoche e avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle inchieste.
Ho condotto indagini nei settori più disparati, ma solo quando mi occupavo di reati contro la Pubblica amministrazione diventavo un cattivo magistrato.
Posso dire con orgoglio che il mio lavoro a Catanzaro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni, come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La polizia giudiziaria lavorava con sacrifici enormi, perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti. Le persone informate dei fatti testimoniavano e offrivano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile, in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, senza insabbiamenti di quelle contro i poteri forti (come invece troppe volte accade). Questo modo di lavorare, il popolo calabrese – piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrandoci sostegno e solidarietà. Non è poco, signor Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato stesse funzionando lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tant’è vero che si sono subito affinate nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana.
Non so se Ella, Signor Presidente, condivide la mia analisi. Ma a me pare che – dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese nel 1993 – le mafie hanno preso a istituzionalizzarsi. Hanno deciso di penetrare diffusamente nella cosa pubblica,nell’economia, nella finanza. Sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano una parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica e nelle Istituzioni a tutti i livelli, nazionali e territoriali. Nemmeno la magistratura e le forze dell’ordine sono rimaste impermeabili. Si è creata un’autentica emergenza democratica, da sconfiggere in Italia e in Europa.
Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali, ma piegano le loro funzioni a interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto. Non mi dilungo oltre, perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto.
Ebbene oggi, Signor Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato: si creerebbero nuovi martiri; magari, ai funerali di Stato, il popolo prenderebbe di nuovo a calci e sputi i simulacri del regime; l’Europa ci metterebbe sotto tutela. Non vale la pena rischiare, anzi non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.
Che ci vuole del resto, signor Presidente, per trasferire un magistrato perbene, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, o per imbavagliare un giornalista che racconta i fatti? E’ tutto molto semplice, quasi banale. Ordinaria amministrazione.
Per allontanare i servitori dello Stato e del bene pubblico, bisogna prima isolarli, delegittimarli, diffamarli, calunniarli. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato.
La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria, mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine con ogni mezzo.
Quello che si è realizzato negli anni in Calabria sul piano investigativo è rimasto ignoto, in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva di farlo conoscere all’esterno. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando però le vicende sono cominciate a uscire dal territorio calabrese, l’azione di sabotaggio si è fatta ancor più violenta e repentina. Invece dello sbarco degli Alleati, c’è stato quello della borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, restituiva fiducia nelle Istituzioni, svelava i legami tra mafia “militare” e colletti bianchi, smascherava il saccheggio di denaro pubblico perpetrate da politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni a danno della stragrande maggioranza della popolazione, scoperchiava un mercato del lavoro piegato a interessi illeciti, squadernava il controllo del voto e, quindi, l’inquinamento e la confisca della democrazia.
Sono cose che non si possono far conoscere, signor Presidente. Altrimenti poi il popolo prende coscienza, capisce come si fanno affari sulla pelle dei più deboli, dissente e magari innesca quella democrazia partecipativa che spaventa il sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di coscienza e conoscenza poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale.
Lei, signor Presidente, dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM – le attività messe in atto ai miei danni. Mi auguro che abbia assunto le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge e alla Costituzione. Avrà potuto così notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, professionisti, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Tutto ciò non era tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale. Come poteva un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il proprio mandato onestamente applicando la Costituzione? Signor Presidente, Lei – come altri esponenti delle Istituzioni – è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, allora, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in un Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell’imparzialità dei pubblici poteri. Poi ho visto in volto, pagando il prezzo più amaro, l’ingiustizia senza fine.
Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere, come poi ha sancito l’Autorità Giudiziaria competente. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva e ha capito quel che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me l’ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare. Un affetto che costituisce per me un’inesauribile risorsa aurea.
Ho denunciato fatti gravissimi all’Autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa ancora una volta era sgradita al potere. E allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e ingiusto: la lezione impartita al sottoscritto non era stata sufficiente. La logica di regime del “colpirne uno per educarne cento” usata nei miei confronti non bastava ancora a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un altro segnale forte, proveniente dalle massime Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato, signor Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi e indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettono in pericolo il sistema criminale di potere su cui si regge, in parte, il nostro Paese.
Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno “antropologicamente diverso”, come nel mio caso – ha adottato nei confronti di insigni personaggi calabresi provvedimenti non graditi a quei poteri che avevano agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, ha fatto filtrare il messaggio perverso che era in atto una “lite fra Procure”, una guerra per bande. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata, fra magistrati di Salerno e Catanzaro. C’era invece semplicemente, come capirebbe anche mio figlio di 5 anni, una Procura che indagava, ai sensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale, su magistrati di un altro distretto. E questi, per ostacolare le indagini, hanno a loro volta indagato i colleghi che indagavano su di loro, e me quale loro istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difende dalla ricerca della verità, tentando di nascondersi dietro lo schermo di una legalità solo apparente.
Questa menzogna è servita a buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di Pm) tre magistrati di Salerno, uno dei quali lasciato addirittura senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro e inequivocabile: non deve accadere più, basta, capito?!
Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire, senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato.
Signor Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato di dosso la toga che avevo indossato con amore profondo. E il fatto che non mi sia stato più consentito di esercitare il mestiere stupendo di Pubblico ministero mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria. Un’azione inaccettabile come quella che ho subìto può strapparmi le amate funzioni, può spegnere il sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non può piegare la mia dignità, nè ledere la mia schiena dritta, nè scalfire il mio entusiasmo, nè corrodere la mia passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese.
Nell’animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.
Nella Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, accompagnato dalla medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del nuovo percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce.
E’ per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’Ordine giudiziario, dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico. Lo faccio con un ulteriore impegno: quello di fare in modo che ciò che è successo a me non accada mai più a nessuno e che tanti giovani indossino la toga non con la mentalità burocratica e conformista magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.

*(Europarlamentare IDV)

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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fonte: Gocce di memoria


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mentire e speculare sui terremotati

Il miglior presidente del Consiglio che l’Italia abbia mai avuto negli ultimi 150 anni va ripetendo in giro che la consegna di 47 chalet a 200 dei trentamila sfollati per il terremoto d’Abruzzo dopo appena 162 giorni rappresenta “il cantiere più grande del mondo”, nonché l’opera di ricostruzione più rapida e imponente della storia dell’umanità. Anche meglio della muraglia cinese e della piramide di Cheope. Non parliamo poi della bonifica delle paludi pontine e della battaglia del grano, che gli fanno un baffo. A tenergli bordone c’è l’eccellentissimo Guido Bertolaso, il gran ciambellano della Protezione civile nonché “uomo della Provvidenza” che tutto il mondo ci invidia perché senza di lui non sapremmo proprio come fare: anche lui si loda e si imbroda a proposito della ricostruzione più rapida e imponente eccetera. La stampa al seguito registra e rilancia.

Peccato che non sia più in vita Indro Montanelli, che dopo il terribile sisma del 1980 in Campania e Basilicata, raccolse tra i lettori del suo Giornale (quello vero, non la tetra parodia oggi in edicola) un bel po’ di quattrini e consegnò ai terremotati di Castelnuovo di Conza un intero villaggio di nuove case, il “Villaggio Il Giornale”, inaugurato insieme all’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini 170 giorni dopo il sisma. Cioè soli 8 giorni dopo l’attuale ricostruzione più imponente e più rapida eccetera. Ma ci fu anche chi arrivò molto prima: lo staff di Giuseppe Zamberletti, democristiano lombardo concreto ed efficiente, che senza essere sottosegretario a nulla, ma in veste di commissario straordinario di governo, mise a frutto l’esperienza maturata nel 1976 in Friuli e riuscì a consegnare 150 chalet (identici ai 45 inaugurati ieri dal premier, anche se a pagarli è stata la provincia autonoma di Trento, governata da Lorenzo Dellai, centrosinistra) alla popolazione di Ariano Irpino, che aveva appena pianto 300 morti, riuscendo a seppellirli solo tre settimane dopo. Quando avvenne la consegna? Qualcuno, sentita la premiata ditta B&B, nel senso di Berlusconi & Bertolaso, dirà: sicuramente non prima di 170 giorni, altrimenti gli annunci del presidente del Consiglio e del capo della Protezione civile sarebbero nient’altro che balle. E i giornali che le registrano senza batter ciglio sarebbero nient’altro che uffici stampa. Bene, tenetevi forte: Zamberletti consegnò ad Ariano i primi prefabbricati appena 60 giorni dopo il terremoto e le 150 casette con giardino dopo soli 122 giorni, dando un tetto permanente a 450 persone: la metà dei superstiti. Cioè impiegò ben 40 giorni in meno della ricostruzione più imponente e rapida eccetera, per fare il triplo del migliore presidente del Consiglio degli ultimi 150 e del capo della Protezione civile che tutto il mondo ci invidia.

Con tre lievissime differenze, fra il 1980 e oggi. Primo: il terremoto in Campania e Lucania si estese per quasi due regioni intere, fece 3 mila morti (10 volte quelli d’Abruzzo), 9 mila feriti e 300 mila sfollati. Secondo: all’epoca la Protezione civile non esisteva: i soccorsi erano coordinati dalla radio della Rai, con le telefonate in diretta degli amministratori e dei cittadini. Terzo: scalcinata fin che si vuole, l’Italia era ancora una democrazia. E anche il politico più infame avrebbe esitato un po’, prima di pavoneggiarsi a favore di telecamera su un red carpet di cadaveri.

Marco Travaglio

fonte: Red carpet sui cadaveri

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solo nel caso di due persone: Gesù Cristo e Silvio Berlusconi

[…] le chiacchiere non bastano a crocefiggere una persona. O meglio bastano, sono bastate, solo nel caso di due persone: Gesù Cristo per certi suoi miracoli e, più recentemente, Silvio Berlusconi per certi suoi giri di valzer con signore per la verità molto disponibili. […]

Gabriele Villa – su il Giornale del 28/08/2009

laddove non ci fosse la conoscenza, casomai sorgesse il dubbio… il Giornale appartiene alla famiglia Berlusconi

fonte: Boffo, il supercensore condannato per molestie

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indignarsi per gli animali torturati

“La vostra indignazione all’idea degli animali torturati e uccisi per soddisfare l’avidità umana non è sentimentalismo bensì un sentimento fra i più leciti e naturali – la  compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo e io come uomo sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me”.  – Dalla lettera che Tolstoj scrisse intorno al 1899 a Elena Endreevna Telesova:

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sullo scudo fiscale

Signor Presidente, nell’illustrare il complesso degli emendamenti, voglio subito ricordare l’articolo 13-bis, ovvero quello riferito allo scudo fiscale. Lo abbiamo visto in questi giorni che siamo stati a Palermo per ricordare e commemorare Paolo Borsellino: stanno uscendo fuori, con il papello di Ciancimino junior, di Riina e di tanti pentiti, le trattative che una parte dello Stato voleva avviare con la mafia ed è questo, forse, il motivo vero per cui sono stati ammazzati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perché non volevano che vi fossero mai contatti o trattative tra lo Stato, con la «S» maiuscola, e qualsiasi tipo di mafia. Invece, oggi dobbiamo purtroppo rilevare che, ancora una volta, questo Governo sta ammazzando Paolo Borsellino e Giovanni Falcone (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). Una volta le trattative almeno erano segrete e non si conoscevano, invece oggi questo Governo, con lo scudo fiscale, non fa altro che dare una possibilità a quanti in modo clandestino hanno portato soldi all’estero.
Immagino che i soldi all’estero in modo clandestino non li portino i contribuenti onesti, le imprese oneste e le persone perbene, ma quelli che li hanno prodotti illecitamente o evadendo il fisco o ricavando denaro con attività mafiose, con la camorra, con la ‘ndrangheta. Infatti, ormai, dagli accertamenti che sta facendo la magistratura registriamo sempre di più che la criminalità organizzata non opera più nei suoi territori di origine, ma su tutto il territorio nazionale e soprattutto all’estero.
Pensate che in Italia la quarta regione nella quale sono confiscati beni alle mafie è la Lombardia e che la ‘ndrangheta investe tantissimo in Germania. Persino nei Paesi scandinavi la criminalità organizzata ha rilevato strutture sanitarie e cliniche, per non parlare della Spagna, dove ha investito il clan dei casalesi, dove ha investito la camorra nella Costa del Sol, come in Venezuela o in Brasile. Dunque, in questo modo si sta facendo una cortesia a tutti questi mafiosi e a tutti questi criminali che hanno portato capitali e patrimoni all’estero.
Ecco che lo Stato sta diventando una lavatrice, perché si sta facendo riciclaggio. Lo Stato ovvero il Governo Berlusconi sta sostituendo e facendo concorrenza alla mafia, perché consente ai criminali di riportare in Italia, con un modesto 5 per cento, i capitali provenienti da attività criminali della camorra, della mafia, della ‘ndrangheta, della sacra corona unita.
È questo il motivo più grave per cui con quei giovani, con i quali sabato e domenica commemoravamo Paolo Borsellino, urlavamo: «Fuori la mafia dalle istituzioni! Paolo vive ancora! Giovanni Falcone vive ancora!». Noi vogliamo dirlo ancora qui in Parlamento, perché vogliamo continuare a rappresentare quegli italiani onesti, quegli italiani per bene, quei contribuenti per bene, quei cittadini che vogliono fare solo il loro lavoro e che non vogliono questo tipo di Italia berlusconiana, dove addirittura troviamo un’intesa con la mafia per far portare i capitali esteri qui in Italia. Infatti, questo è lo scudo fiscale: lo scudo fiscale non solo è un’operazione di condono mascherato, non solo è un’operazione con la quale si premiano come al solito i furbetti, i disonesti, gli imbroglioni, ma addirittura si fanno ritornare in Italia quelli che hanno portato clandestinamente i soldi anche della criminalità organizzata.
Allora, se sono stati confiscati al clan dei casalesi 139 milioni di euro in un anno e 50 milioni la settimana scorsa, ebbene i casalesi non avranno più necessità di nascondere il denaro, anzi da ora in avanti per le attività che hanno all’estero possono avvalersi tranquillamente dello scudo fiscale che questo Governo filomafioso sta mettendo in campo e che consentirà ai casalesi e a tutti i criminali e mafiosi di riportare il denaro in Italia, con il pagamento di un modesto 5 per cento (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Sto parlando della criminalità organizzata che viene aiutata dal Governo Berlusconi. Sto parlando dell’attività alla luce del sole che per la verità questo Governo, in modo molto coerente, non solo dimostra all’esterno con atteggiamenti del Premier «papi» e di tutti i suoi uomini, ma anche con atti istituzionali, parlamentari e governativi. Infatti, lo scudo fiscale è un modo per favorire le mafie, per aiutare la criminalità organizzata, per riportare in Italia i capitali che provengono da attività illecite e criminali.
Forse vi dispiace sentirlo, ma purtroppo, è la verità. È questo il ruolo che noi dell’opposizione dobbiamo svolgere, perché dobbiamo controllarvi, evitando, soprattutto, che continuiate ad ammazzare ogni giorno Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, ad alimentare e a tenere la mafia nelle istituzioni. Infatti, le mafie si aiutano con questi provvedimenti, ormai, alla luce del sole (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Allo stesso modo, accade con l’articolo 24 del provvedimento in discussione, con il quale prorogate l’attività di controllo del territorio delle Forze armate. Se si vuole davvero distruggere la criminalità organizzata, non è necessario smantellare le forze di polizia, come avete fatto con i vostri precedenti provvedimenti; non è necessario togliere 3 miliardi di euro alle forze di polizia, ai carabinieri e alla Guardia di finanza (ad oggi, per effetto dei vostri tagli, nell’organico delle forze di polizia già vi sono 40 mila unità in meno); e, soprattutto, non serve finanziare le ronde per contrastare la criminalità organizzata, perché questa è solo una buffonata. Con le ronde, infatti, non si risolve la lotta alla camorra, alla mafia, alla ‘ndrangheta. Sono necessarie, invece, iniziative serie.
Concludo signor Presidente. Non vogliamo più aiuti per il sud, vogliamo semplicemente qualità. Riguardo al turismo, non c’è bisogno di costruire industrie o capannoni, poiché esistono già le bellezze paesaggistiche ed architettoniche.
Concludo, caro Presidente, ringraziando il Governo, che ha ammazzato ancora una volta Paolo Borsellino e Giovanni Falcone (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

Francesco Barbato, deputato, 23 luglio 2009

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wafer salati

un pacco di wafer può essere MOLTO salato… di sicuro così è stato per il signor Salvatore Scognamiglio, condannato a 3 anni di carcere per averne rubato uno da un discount (valore della refurtiva 1,29 euro)

inutile e banale le motivazioni addotte dal lestofante reo di rapina impropria,il quale ha avuto l’ardire di giustificarsi al suono di

mi vergogno, avevo fame…

finalmente il paese è più sicuro e simili lestofanti non potranno tornare a rovinare la vita di noi onesti cittadini, che non saremo mai abbastanza grati per la legge Cirielli, malignamente chiamata “salva-Previti”

è grazie a questa legge che un recidivo vedrà comminarsi pene molto più aspre… e che questa legge abbrevi i tempi di prescrizione per molti reati quali la frode fiscale e il falso in bilancio non ne sminuisce il valore

grazie a questa legge saremo al sicuro dal ladro di wafer per tre anni, inoltre eviteremo di vedere condannati per truffa, frode fiscale o falso in bilancio degli onesti cittadini come Cesare Previti (il quale saggiamente ha votato e voluto la legge che lo ha salvato dal carcere), il nostro amato presidente del consiglio Silvio Berlusconi ha potuto evitare di doversi difendere in uno dei numerosi processi a suo carico, sebbenea detta del suo avvocato non ne abbia tratto alcun giovamento…

anche la Bank of America ringrazia per non dover rispondere della millantata truffa operata ai danni degli obbligazionisti e azionisti della Parmalat

mi sento molto più sicuro sapendo che la legge italiana sa essere sia clemente (con chi ruba i miliardi) che inflessibile (con chi ruba i pacchi di wafer)

fonti:

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altre notizie non date

l’Italia è un paese dove un attore di teatro deve essere posto sotto scorta perché minacciato di morte a causa del suo spettacolo “do ut des” in cui ridicolizza la mafia

l’Italia è un paese in cui un giornalista antimafia si rifiuta di iscriversi all’albo dei giornalisti (forse non vuole essere accomunato a persone come Fede, Vespa, Giordano, Belpietro…) e per questo viene rinviato a giudizio ben due volte per esercizio abusivo della professione di giornalista, cosa anomala perché dopo la prima assoluzione non avrebbe potuto essere incriminato per lo stesso “reato”… ma si sa che l’Italia è il paese delle occasioni

l’attore è Giulio Cavalli, il giornalista è Pino Maniaci di Telejato

in un paese dove in parlamento siedono condannati per associazione mafiosa, dove verranno impedite le intercettazioni telefoniche, dove con un atto del parlamento si negano i cambiamenti climatici in atto, dove per legge le centrali nucleari verranno imposte senza dover avere l’accordo delle popolazioni locali, dove saranno gli agenti segreti a proteggere Apicella e le “amichette” di papi quando prenderanno i voli di stato…

personaggi come questi, di cui nessuna televisione ci racconta nulla… conoscere le loro storie e le loro battaglie per un mondo migliore e senza mafia… almeno questo possiamo farlo

il blog di Giulio Cavalli e il sito di Telejato

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un'altra notizia taciuta

sebbene il presidente Napolitano ci inviti a smorzare le polemiche in vista del G8, voglio condividere con i lettori di questo blog una notizia che non sentirete in televisione e che non leggerete sui giornali (non ho trovato la notizia nè su Repubblica nè sul Corriere)

la discarica di Chiaiano si è allagata a causa delle piogge e riversa fango misto a schiuma bianca, costringendo i residenti di Poggio Vallesana a rimanere chiusi in casa

la discarica di Chiaiano, quella presidiata dall’esercito, quella dove vengono interrati rifiuti pericolosi, quella cui è proibito l’accesso e il controllo ai cittadini e ai loro rappresentanti, quella per la quale ancora oggi protestano, quella per cui la polizia ha caricato chi protestava contro…

la colpa delle piogge non è del governo e di chi lucra sui rifiuti, però da una discarica dichiarata “sito di interesse nazionale” e presidiata come una base militare, vanto dell’opera di pulizia di Napoli fatta da Silvio Berlusconi… da una discarica con simili credenziali mi sarei aspettato di meglio

ma forse è meglio non parlarne… in fondo quando il bagno è otturato a casa nostra cerchiamo di evitare che un ospite ci vada… peccato che questo bagno (anzi questa latrina) sia stata costruita nella camera da letto, da pranzo, nella camera dei bambini di un’intera cittadinanza, imponendogliela con la forza e senza possibilità di verificare alcunché sul suo utilizzo

oggi questo ci appare lontano, ma quando verrà inaugurato (cioè imposto) un inceneritore, una centrale nucleare, una discarica a due passi dalla nostra città allora capiremo un po’ meglio cosa vuol dire non poter uscire di casa perché le strade sono allagate dal veleno…

fonti:

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giornalisti comprati?

Oggi penso che, se noi avessimo raccontato di più la vita privata dei leader politici, forse non saremmo arrivati a tangentopoli, forse li avremmo costretti a cambiare oppure andarsene. Non è stato un buon servizio il nostro fair play: abbiamo semplicemente peccato di ipocrisia… La distinzione fra pubblico e privato è manichea: ripeto, un politico deve sapere che ogni aspetto della sua vita è pubblico. Se non accetta questa regola rinunci a fare il politico.” – Augusto Minzolini

il 29 ottobre 1994 si esprimeva così l’attuale direttore del TG1

oggi la pensa (e agisce) molto diversamente, agendo nell’interesse di chi lo ha fatto salire ai vertici della “informazione” pubblica

gli altri giornalisti RAI ovviamente non concordano con la scelta di manipolare l’informazione del loro direttore e lo fanno attraverso un comunicato al TG2

Vedendo i trascorsi di Augusto Minzolini e l’audacia con cui diffondeva frasi, eventi o “pettegolezzi” sui politici e potenti… il suo mutato atteggiamento nel caso delle “ragazze di compagnia” da migliaia di euro nella residenza di Berlusconi può essere interpretato dall’intelligenza di molti come una ricevuta di vendita…

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