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L’imminente guerra ai computer generici
Questa è la trascrizione tradotta dell’intera relazione di Cory Doctorow. L’originale è sotto licenza Creative Commons CC-BY (come indicato qui) e lo è anche questa traduzione, la cui prima stesura è opera di Luigi Rosa. La revisione finale, e quindi la colpa di eventuali errori, è mia.
Si può selezionare la lingua italiana per i sottotitoli
Cory Doctorow: Quando parlo davanti a persone la cui lingua madre non è l’inglese, faccio sempre un avviso e delle scuse perché parlo molto velocemente. Quando ero alle Nazioni Unite al World Intellectual Property Organization, mi avevano soprannominato il flagello dei traduttori simultanei [risate del pubblico]. Quando mi alzavo per parlare e mi guardavo attorno vedevo una schiera di finestre con dietro i traduttori, tutti con questa espressione [facepalm] [risate]. Quindi se parlerò troppo in fretta vi autorizzo a fare così [agita le braccia] e io rallenterò.
Il discorso di questa sera… wah, wah, waaah [Doctorow risponde a qualcuno del pubblico che agita le braccia, il pubblico ride]… Il discorso di questa sera non riguarda il copyright. Tengo moltissimi discorsi sul copyright; i problemi della cultura e della creatività sono molto interessanti, ma sinceramente comincio ad averne abbastanza. Se volete ascoltare scrittori indipendenti come me tediare il pubblico su cosa stia succedendo al modo in cui ci guadagniamo da vivere, andate pure a cercare su YouTube uno dei tanti discorsi che ho fatto su questo tema.
Questa sera, invece, vorrei parlare di qualcosa più importante: voglio parlare dei computer universali [general purpose]. Perché questi computer sono davvero sbalorditivi; così tanto che la nostra società si sta ancora sforzando di capirli, di capire a cosa servano, come integrarli e come gestirli. Tutto questo, purtroppo, mi riporta al copyright. Perché la natura delle guerre di copyright e le lezioni che ci possono insegnare sulle future lotte per il destino dei computer universali sono importanti.
In principio vi era il software preconfezionato e l’industria che lo produceva. E i file venivano trasferiti su supporti fisici: avevamo buste o scatole di floppy appese nei negozi e vendute come caramelle o riviste. Ed erano molto facili da copiare e così venivano copiati rapidamente da molti, con gran dispiacere di chi scriveva e vendeva software.
Arrivò il DRM 0.96. Iniziarono a introdurre difetti fisici nei dischi o a esigere altri elementi fisici che il software poteva verificare: dongle, settori nascosti, protocolli di domanda e risposta che richiedevano il possesso fisico di grossi ed ingombranti manuali difficili da copiare. Naturalmente questi sistemi fallirono, per due ragioni. Innanzi tutto erano commercialmente impopolari – ovviamente – perché riducevano l’usabilità del software da parte del proprietario legittimo e non andavano a toccare chi si era procurato illegalmente il software. Gli acquirenti legittimi lamentavano che le copie di sicurezza non funzionavano, detestavano sacrificare porte a cui attaccare i dongle e pativano il disagio di dover trasportare manuali voluminosi per poter eseguire il software.
In seconda istanza, tutto questo non fermava i pirati, che trovarono modi molto semplici per modificare il software e aggirare la protezione. In genere quello che succedeva era che qualche esperto dotato di tecnologia ed esperienza pari a quelle di chi produceva il software riusciva a decifrare il programma [reverse engineering] e a rilasciare versioni craccate, che venivano distribuite rapidamente.
Questo tipo di esperienza e tecnologia poteva sembrare altamente specializzata, ma in realtà non lo era affatto. Scoprire cosa facevano dei programmi recalcitranti e aggirare i difetti di floppy scadenti erano competenze di base dei programmatori e lo erano ancora di più in quel periodo, in cui i dischetti erano fragili e lo sviluppo del software era fatto alla buona.
Le strategie anticopia si intensificarono con la diffusione delle reti. Quando si diffusero le BBS, i servizi online, i newsgroup e le mailing list, la competenza di chi capiva come sconfiggere questi sistemi di protezione poteva essere impacchettata come software e disseminata in programmini come i crack file o, all’aumentare della capacità delle reti, divenne possibile diffondere le immagini dei dischi e gli eseguibili craccati.
Questo ci portò al DRM 1.0. Nel 1996 divenne chiaro a tutti quelli che sedevano nelle stanze dei bottoni che stava per succedere qualcosa di importante. Stavamo per entrare in un’economia dell’informazione, qualunque cosa fosse.
Loro credevano che questo significasse un’economia dove avremmo acquistato e venduto informazioni. L’informatica rende le cose efficienti, quindi immaginate i mercati che un’economia dell’informazione poteva creare. Si sarebbe potuto acquistare un libro per un giorno, vendere il diritto di vedere un film a un euro e dare a noleggio il tasto Pausa a un centesimo al secondo. Si sarebbe potuto vendere un film a un certo prezzo in un paese e a un altro prezzo in un altro paese e così via. Le fantasticherie di quei giorni erano un po’ come un noioso adattamento fantascientifico del Libro dei Numeri della Bibbia: un tedioso elenco di tutte le permutazioni delle cose che la gente fa con le informazioni e dei modi in cui gliele si poteva far pagare.
Ma nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza la possibilità di controllare il modo in cui le persone usano i propri computer e i file che trasferiamo in essi. Dopotutto era una bella idea pensare di poter vendere i diritti di fruizione di un video per 24 ore o il diritto di trasferire la musica a un iPod ma non di poterla spostare da un iPod a un altro dispositivo. Ma come diavolo si poteva farlo, una volta che la persona era entrata in possesso di un file?
Per far funzionare il tutto, bisognava trovare il modo di impedire che i computer eseguissero certi programmi e analizzassero certi file e processi. Per esempio, si poteva cifrare il file e obbligare l’utente a eseguire un programma che decifrasse il file solamente in determinate circostanze.
Ma come si dice su Internet, a questo punto i problemi sono due. Adesso si deve anche impedire all’utente di salvare il file decrittato e impedirgli di capire dove il programma abbia registrato le chiavi per decrittare il file, perché se l’utente trova quelle chiavi, decritterà il file e non userà la stupida app di lettura.
Ma a questo punti i problemi sono tre [risate], perché adesso si deve impedire agli utenti di condividere il file decrittato con altri utenti. E ora i problemi sono quattro!
Si deve impedire agli utenti che riescono a capire come carpire i segreti dei programmi di sblocco di spiegare ad altri utenti come fare altrettanto, ma ora i problemi sono cinque! Bisogna impedire agli utenti che capiscono come estrarre i segreti dai programmi di decrittazione di dire quali siano questi segreti.
Sono un bel po’ di problemi. Ma nel 1996 trovammo una soluzione. Ci fu il trattato WIPO sul copyright, approvato dalla World Intellectual Property Organization delle Nazioni Unite, che creò leggi che resero illegale l’estrazione di segreti dai programmi di sblocco, leggi che resero illegale estrarre dei dati in chiaro dai programmi di sblocco mentre questi stavano girando; leggi che resero illegale dire alla gente come estrarre i segreti dai programmi di sblocco; e leggi che resero illegale ospitare contenuti protetti da copyright e ospitare segreti. Il tutto con una comoda e snella procedura che permetteva di rimuovere cose da Internet senza dover perdere tempo con avvocati, giudici e tutte quelle stronzate. E così la copia illegale finì per sempre [risate e applausi]. L’economia dell’informazione sbocciò in un magnifico fiore che portò prosperità al mondo intero. Come si dice sulle portaerei, “Missione compiuta” [risate e applausi].
Naturalmente non è così che finisce la storia, perché chiunque capiva qualcosa di computer e reti capì che queste leggi creavano più problemi di quanti ne risolvessero. Dopotutto queste erano leggi che rendevano illegale guardare nel proprio computer quando stava eseguendo certi programmi; rendevano illegale raccontare alla gente cosa avevi trovato quando avevi guardato dentro il tuo computer; rendevano facile censurare contenuti su Internet senza dover dimostrare che fosse successo qualcosa di illegale. In poche parole, pretendevano dalla realtà prestazioni irrealistiche e la realtà si rifiutò di collaborare.
Dopotutto, copiare i contenuti divenne invece più semplice dopo che furono passate queste leggi. Copiare non può che diventare più facile! Siamo nel 2011: copiare non sarà mai difficile più di quanto lo sia oggi! I vostri nipoti, al pranzo di Natale, vi diranno “Dai nonno, dai nonna, raccontateci ancora com’era difficile copiare le cose nel 2011, quando non avevate un disco grande come un’unghia che potesse contenere ogni canzone mai incisa, ogni film mai girato, ogni parola pronunciata, ogni fotografia mai scattata… tutto! E trasferire tutto questo così in fretta che neanche te ne accorgevi. Raccontateci ancora quanto era stupidamente difficile copiare le cose nel 2011!”
E così la realtà prevalse e ognuno si fece una sonora risata su quanto erano stravaganti le idee sbagliate che avevamo all’inizio del XXI secolo. E poi fu raggiunta una pace duratura e vi furono libertà e prosperità per tutti [il pubblico ridacchia].
Beh, non proprio. Come la donna della filastrocca, che ingoia un ragno per prendere una mosca e deve ingoiare un uccellino per prendere il ragno e un gatto per prendere l’uccellino e così via, anche una regolamentazione che è d’interesse così generale ma disastrosa nell’implementazione deve partorire una nuova regolamentazione che consolidi il fallimento di quella vecchia. È forte la tentazione di terminare qui la storia concludendo che il problema è che il legislatore è incapace o malvagio, o magari malignamente incapace, e chiuderla lì. Ma non è una conclusione soddisfacente, perché è fondamentalmente un invito alla rassegnazione. Ci dice che i nostri problemi non potranno essere risolti finché stupidità e malvagità saranno presenti nelle stanze dei bottoni, che è come dire che non li risolveremo mai.
Ma io ho un’altra teoria su cosa sia successo. Non è che i legislatori non comprendano l’informatica, perché dovrebbe essere possibile fare delle buone leggi senza essere esperti! I parlamentari vengono eletti per rappresentare aree geografiche e persone, non discipline e problemi. Non abbiamo un parlamentare per la biochimica, né un senatore per la pianificazione urbana, né un parlamentare europeo per il benessere dei bambini (anche se dovremmo averlo). Nonostante tutto, queste persone esperte di politica e leggi, non discipline tecniche, spesso riescono a promulgare leggi buone e coerenti, perché chi governa si affida all’euristica, a regole basate sul buon senso su come bilanciare le voci degli esperti di vari settori che sostengono tesi diverse. Ma l’informatica confonde quest’euristica e la prende a calci in un modo importante, che è il seguente.
Un test importante per valutare se una legge è adatta per uno scopo è, naturalmente, per prima cosa vedere se funziona. In secondo luogo bisogna vedere se, nel funzionare, avrà molti effetti su tutto il resto. Se voglio che il Congresso, il Parlamento o l’Unione Europea regolamentino la ruota è difficile che io ci riesca. Se io dicessi “Beh, sappiamo tutti a cosa servono le ruote e sappiamo che sono utili, ma avete notato che ogni rapinatore di banca ha quattro ruote sulla sua auto quando scappa con il bottino? Non possiamo fare qualcosa?” la risposta sarebbe naturalmente “No”, perché non sappiamo come realizzare una ruota che resti generalmente utile per usi legittimi ma sia inutilizzabile per i malintenzionati.
Ed è ovvio per tutti che i benefici generali delle ruote sono così profondi che saremmo matti a rischiare di perderli in una folle missione di bloccare le rapine attraverso la modifica delle ruote. Anche se ci fosse un’epidemia di rapine, anche se la società fosse sull’orlo del collasso a causa delle rapine in banca, nessuno penserebbe che le ruote siano il posto giusto per iniziare a risolvere il problema.
Ma se mi dovessi presentare davanti a quella stessa gente e dire che ho la prova assoluta che i telefoni a viva voce rendono le automobili più pericolose e dicessi “Vorrei che approvaste una legge che rende illegali i viva voce in auto” i legislatori potrebbero rispondere “Sì, ha senso, lo faremo”. Potremmo dissentire sul fatto che sia o no una buona idea, se le mie prove stiano in piedi, ma in pochi direbbero “Una volta che togli i viva voce dalle auto queste non sono più auto”. Sappiamo che le auto restano tali anche se togliamo qualche funzione.
Le auto servono a scopi specifici, se paragonate alle ruote, e tutto quello che fa il viva voce è aggiungere una funzione ad una tecnologia che è già specializzata. In effetti possiamo applicare anche qui una regola euristica: le tecnologie che hanno scopi specifici sono complesse e si possono togliere loro delle caratteristiche senza menomare la loro utilità di fondo.
Questa regola empirica aiuta molto i legislatori in generale, ma viene resa inutile dai computer e dalle reti universali: i PC e Internet. Perché se pensate ad un software come una funzione, ovvero un computer con un programma di foglio elettronico ha la funzione di foglio elettronico, un computer su cui gira World of Warcraft ha la funzione di MMORPG, allora questa regola euristica porta a pensare che si potrebbe ragionevolmente dire “Costruitemi un computer su cui non girino fogli elettronici” senza che ciò costituisca un attacco all’informatica più di quanto dire “Costruitemi un’auto senza telefoni viva voce” sia un attacco alle automobili.
E se pensiamo ai protocolli e ai siti come funzione della rete, allora dire “Sistemate Internet in modo tale che non sia più possibile utilizzare BitTorrent” oppure “Sistemate Internet in modo tale che Thepiratebay.org non venga più risolto” sembra uguale a dire “Cambiate il segnale di occupato” o “Scollegate dalla rete telefonica la pizzeria all’angolo” e non sembra un attacco ai principi fondamentali dell’interconnessione di reti.
Non comprendere che questa regola empirica che funziona per auto, case e ogni altra area tecnologica importante non funziona per Internet non ti rende malvagio e nemmeno un ignorante. Ti rende semplicemente parte i quella vasta maggioranza del mondo per cui concetti come “Turing complete” e “end-to-end” non hanno significato.
Così i nostri legislatori vanno ad approvare allegramente queste leggi, che diventano parte della realtà del nostro mondo tecnologico. All’improvviso ci sono numeri che non possiamo più scrivere su Internet, programmi che non possiamo più pubblicare e per far sparire materiale legittimo da Internet basta dire “Quella roba viola il copyright”. Questo non raggiunge le finalità della legge: non impedisce alla gente di violare il copyright. Ma somiglia superficialmente all’imposizione del rispetto del copyright: soddisfa il sillogismo di sicurezza “bisogna fare qualcosa, sto facendo qualcosa, qualcosa è stato fatto”. E così eventuali fallimenti che si verificano possono essere addebitati al fatto che la legge non si spinge abbastanza in là e non a suoi difetti di fondo.
Questo tipo di analogia superficiale ma divergenza di fondo si verifica in altri contesti tecnici. Un mio amico, che è stato un alto dirigente di una ditta di beni di consumo confezionati, mi ha raccontato che una volta quelli del marketing dissero ai tecnici che avevano una grande idea per i detersivi. Da quel momento avrebbero fatto detersivi che rendevano i capi più nuovi ad ogni lavaggio! Dopo che i tecnici avevano tento invano di spiegare il concetto di “entropia” al marketing [risate] arrivarono a un’altra soluzione… “soluzione”… Svilupparono un detersivo con degli enzimi che aggredivano le fibre sfilacciate, quelle rotte che fanno sembrare vecchio un capo, così che ad ogni lavaggio il capo sarebbe sembrato più nuovo. Ma questo avveniva perché il detersivo digeriva letteralmente gli indumenti. Usarlo faceva sciogliere i capi dentro la lavatrice. Questo era l’opposto di far sembrare il capo più nuovo: il detersivo invecchiava artificialmente i capi a ogni lavaggio. Come utente, più si applicava la “soluzione” al capo di abbigliamento, più diventavano drastici i rimedi per mantenerlo apparentemente nuovo, tanto che alla fine bisognava comperare un vestito nuovo perché quello vecchio si era disfatto.
Quindi oggi abbiamo persone del marketing che dicono “Non abbiamo bisogno di computer, ma di… elettrodomestici. Fatemi un computer che non esegua ogni programma ma solamente un programma che faccia questo lavoro specifico, come lo streaming audio, il routing di pacchetti, o esegua i giochi della Xbox e assicuratevi che non esegua programmi che io non ho autorizzato e che potrebbero ridurre i nostri profitti.”
In maniera superficiale, questa sembra un’idea ragionevole: un programma che esegue un compito specifico; dopotutto possiamo mettere un motore elettrico in un frullatore e possiamo installare un motore in una lavapiatti senza preoccuparci se sia possibile eseguire un programma di lavaggio stoviglie in un frullatore. Ma non è quello che succede quando trasformiamo un computer in un “elettrodomestico”. Non facciamo un computer che esegue solamente la app “elettrodomestico”, ma fabbrichiamo un computer in grado di eseguire ogni tipo di programma e che usa una combinazione di rootkit, spyware e firme digitali per impedire all’utente di sapere quali processi girano, per impedire l’installazione di software e bloccare i processi che non desidera vengano eseguiti.
In altre parole, un elettrodomestico non è un computer a cui è stato tolto tutto, ma un computer perfettamente funzionante con spyware preinstallato dal fornitore [applausi fragorosi]. Grazie.
Perché non sappiamo come costruire un computer multifunzione in grado di eseguire ogni programma che possiamo compilare tranne alcuni programmi che non ci piacciono o che proibiamo per legge o che ci fanno perdere soldi. La migliore approssimazione che abbiamo è un computer con spyware: un computer in cui qualcuno, da remoto, imposta delle regole senza che il proprietario del computer se ne accorga e senza che acconsenta.
Ed ecco che la gestione dei diritti digitali converge sempre verso il malware. C’è stato, ovviamente, quell’incidente famoso, una sorta di regalo alle persone che hanno formulato questa ipotesi, quando la Sony collocò degli installer di rootkit nascosti in 6 milioni di CD audio, che eseguirono segretamente un programma che monitorava i tentativi di leggere tracce audio dai CD e li bloccava; questo programma si nascondeva e induceva il kernel a mentire in merito ai processi in esecuzione e in merito ai file presenti sul disco.
Ma questo non è l’unico esempio. Di recente Nintendo ha rilasciato il 3DS, che aggiorna in maniera opportunistica il firmware ed esegue un controllo di integrità per assicurarsi che il vecchio firmware non sia stato modificato; se vengono rilevate modifiche non autorizzate, l’aggiornamento rende inservibile il dispositivo. Diventa un fermaporta.
Attivisti dei diritti umani hanno diramato allarmi in merito a U-EFI, il nuovo bootloader dei PC, che limita il computer in modo che possa caricare solamente sistemi operativi firmati digitalmente, evidenziando il fatto che i governi repressivi probabilmente non concederanno firme digitali ai sistemi operativi a meno che possano eseguire operazioni nascoste di sorveglianza.
Sul versante della rete, i tentativi di creare una rete che non possa essere utilizzata per violare il copyright portano sempre alle misure di sorveglianza tipiche dei governi repressivi. SOPA, la legge americana Stop Online Piracy Act, impedisce l’utilizzo di tool come DNSSec perché possono essere utilizzati per aggirare i blocchi dei DNS. E vieta anche tool come Tor perché possono essere utilizzati per aggirare le misure di blocco degli IP. Tant’è vero che i fautori di SOPA, la Motion Picture Association of America, hanno diramato un memorandum in cui citano una ricerca secondo la quale SOPA probabilmente funzionerà , perché usa le stesse misure usate in Siria, Cina e Uzbekistan. La loro tesi è che se queste misure funzionano in quegli stati, funzioneranno anche in America! [risate e applausi]
Non applaudite me, applaudite la MPAA! Ora, può sembrare che SOPA sia la mossa finale di una lunga lotta sul copyright e su Internet e può sembrare che se riusciamo a sconfiggere SOPA saremo sulla buona strada per assicurare la libertà dei PC e delle reti. Ma, come ho detto all’inizio di questo discorso, non si tratta di copyright, perché le guerre per il copyright sono solamente la versione 0.9 beta della lunga guerra contro il calcolo che è imminente. L’industria dell’intrattenimento è solamente il primo belligerante di questo conflitto venturo, che occuperà tutto il secolo.
Tendiamo a considerarli dei vincitori: dopotutto abbiamo SOPA, sul punto di essere approvata, che minerà le fondamenta di Internet nel nome della conservazione della classifica dei dischi più venduti, dei reality show e dei film di Ashton Kutcher! [risate e qualche applauso] Ma la realtà è che la legge sul copyright riesce ad arrivare fin dove arriva proprio perché non viene presa sul serio. Ed è per questo che in Canada un Parlamento dopo l’altro ha introdotto una legge stupida sul copyright dopo l’altra, ma nessuno di quei parlamenti è mai riuscito ad approvare quelle leggi. È per questo che siamo arrivati a SOPA, una legge composta da molecole di pura stupidità assemblate una ad una in una sorta di “stupidonio 250” che normalmente si trova solamente nei nuclei delle stelle appena formate.
Ed è per questo che è stato necessario rinviare queste frettolose audizioni per SOPA a metà della pausa natalizia, affinché i legislatori potessero dedicarsi a una vera discussione violenta, vergognosa per la nazione, su un argomento importante: i sussidi di disoccupazione.
È per questo che il World Intellectual Property Organization è indotto ripetutamente con l’inganno a promulgare proposte folli e ottusamente ignoranti sul copyright: perché quando gli stati del mondo inviano le proprie missioni ONU a Ginevra mandano esperti idrici, non esperti di copyright; mandano esperti di salute, non esperti di copyright; mandano esperti di agricoltura, non esperti di copyright. Perché il copyright, fondamentalmente, non è importante quasi per nessuno! [applausi]
Il parlamento canadese non ha votato le leggi sul copyright perché fra tutte le cose di cui il Canada si deve occupare, sistemare i problemi del copyright è molto meno prioritario delle emergenze sanitarie nelle riserve indiane delle First Nations, dello sfruttamento petrolifero dell’Alberta, dei problemi astiosi tra anglofoni e francofoni, della crisi delle aree di pesca e di migliaia di altri problemi!
L’insignificanza del copyright indica che quando altri settori dell’economia inizieranno a manifestare preoccupazioni riguardo a Internet e ai PC, il copyright si rivelerà essere una scaramuccia, non una guerra.
Perché altri settori dovrebbero avere rancori nei confronti dei computer? Perché il mondo in cui viviamo oggi è fatto di computer. Non abbiamo più delle automobili, ma computer con cui andiamo in giro; non abbiamo più aeroplani, ma computer Solaris volanti con un sacco di controller SCADA [risate e applausi]; una stampante 3D non è un dispositivo, ma una periferica, e funziona solamente connessa ad un computer; una radio non è più un cristallo, è un computer multifunzione con un ADC e un DAC veloci e del software.
Il malcontento scaturito dalle copie non autorizzate è nulla se confrontato alle richieste d’intervento create dalla nostra realtà ricamata da computer. Pensate un momento alla radio. Tutta la legislazione sulla radiofonia fino ad oggi era basata sul fatto che le proprietà di una radio sono determinate al momento della fabbricazione e non possono essere modificate facilmente.
Non è possibile spostare una levetta su un monitor ascoltabimbi e trasformarlo in qualcosa che interferisce con i segnali del controllo del traffico aereo. Ma le radio più potenti gestite dal software possono trasformarsi da monitor ascoltabimbi in gestore dei servizi di emergenza, in controllore del traffico aereo solamente caricando ed eseguendo un software differente. È per questo che la prima volta che l’ente normatore americano dlele telecomunicazioni (FCC) si chiese cosa sarebbe potuto succedere se fossero state messe in giro queste radio, chiese pareri sull’idea di rendere obbligatorio per legge che tutte le radio definite dal software venissero integrate in una piattaforma di Trusted Computing.
In ultima analisi, chiese se tutti i PC dovessero essere lucchettati, in modo che i programmi che eseguono siano strettamente regolamentati da autorità centrali. E anche questo è solamente un’ombra di quello che ci attende.
Dopotutto, questo è stato l’anno in cui abbiamo visto il debutto di file di forma [shape files] open source per convertire un AR-15 in un fucile automatico. Questo è stato l’anno dell’hardware open source e finanziato collettivamente per sequenziare i geni. E mentre la stampa 3D darà vita a valanghe di liti banali, ci saranno giudici del sud degli USA e mullah in Iran che impazziranno perché la gente sotto la loro giurisdizione si stamperà giocattoli sessuali [risate fragorose].
L’evoluzione della stampa 3D solleverà di sicuro molte critiche autentiche, dai laboratori a stato solido per la sintesi di anfetamine ai coltelli di ceramica. E non ci vuole certo uno scrittore di fantascienza per capire perché i legislatori potrebbero innervosirsi all’idea che il firmware delle auto a guida automatica sia modificabile dall’utente, o alla limitazione del’interoperabilità dei controller per aviazione, o le cose che si possono fare con assemblatori su scala biologica e sequenziatori.
Immaginate cosa succederà il giorno in cui la Monsanto deciderà che è molto, molto importante essere certi che i computer non possano eseguire programmi che inducono periferiche specializzate a generare organismi che tolgono letteralmente loro il cibo di bocca.
Indipendentemente dal fatto che pensiate che questi siano problemi reali o soltanto paure isteriche, essi restano il campo d’azione di lobby e gruppi d’interesse ben più influenti di Hollywood e dei grandi produttori di contenuti quando sono in vena. E ognuno di loro arriverà alla stessa conclusione: “Non potete fabbricarci semplicemente un computer universale che esegua tutti i programmi tranne quelli che ci spaventano o ci fanno arrabbiare?” “Non potete semplicemente fabbricarci una Internet che trasmetta qualunque messaggio su qualunque protocollo tra qualunque coppia di punti a meno che il messaggio ci dia fastidio?”
E personalmente capisco che ci saranno programmi che gireranno su computer universali e periferiche e che faranno paura persino a me. Quindi posso capire che chi si batte per limitare i computer universali troverà molti ascoltatori per le proprie tesi. Ma proprio come abbiamo visto nelle guerre per il copyright, vietare certe istruzioni, protocolli o messaggi sarà del tutto inefficace nel prevenire crimini e rimediarvi. E come abbiamo visto nelle guerre per il copyright, tutti i tentativi di controllo dei PC convergeranno verso i rootkit e tutti i tentativi di controllo di Internet convergeranno verso la sorveglianza e la censura. Ed è per questo che tutto questo è importante.
Perché abbiamo speso gli ultimi 10 anni e oltre unanimemente a inviare i nostri uomini migliori a combattere quello che pensavamo essere il capo supremo alla fine del gioco,ma adesso si rivela essere solamente il mini-capo alla fine del livello e la posta in gioco può solo aumentare.
Come membro della generazione dei Walkman, mi sono rassegnato che avrò bisogno di un apparecchio acustico molto prima di morire; naturalmente non sarà un apparecchio acustico, ma un computer che porterò nel mio corpo. Quindi quando salirò in macchina (un computer in cui metto il mio corpo) con un apparecchio acustico (un computer che metto dentro il mio corpo) vorrò sapere se queste tecnologie non saranno progettate per nascondermi qualcosa e per impedirmi di interrompere dei processi in esecuzione su di essi che agiscono contro i miei interessi [fragoroso applauso].
Grazie [l’applauso continua] Grazie. L’anno scorso il Lower Merion School District, in un sobborgo borghese di Philadelphia, si è trovato in guai seri perché è stato scoperto che distribuiva PC agli studenti con precaricato un rootkit che permetteva una sorveglianza remota nascosta attraverso il computer, la sua telecamera e la sua connessione di rete. È risultato che avevano fotografato gli studenti migliaia di volte, a casa, a scuola, quando erano svegli, quando dormivano, quando erano vestiti e quando erano nudi.
Nel frattempo l’ultima generazione di tecnologia per l’intercettazione legale può attivare di nascosto telecamere, microfoni e GPS su PC, tablet e dispositivi mobili. In futuro la libertà richiederà che si sia capaci di monitorare i nostri dispositivi, imporre su di loro regole di funzionamento significative, esaminare e bloccare processi che girano su di essi, mantenerli come servitori leali e non come spie o traditori che lavorano per criminali, teppisti o gente con manie di controllo. Non abbiamo ancora perso, ma dobbiamo vincere la guerra del copyright per mantenere Internet e il PC liberi e aperti. Perché queste sono le risorse delle guerre venture e non potremo continuare a lottare senza di esse. E lo so che può sembrare come un invito alla rassegnazione, ma, come ho detto, questo è solamente l’inizio.
Abbiamo combattuto il mini-capo e questo vuol dire che ci aspettano grandi sfide, ma come ogni bravo disegnatore di livelli di videogiochi, il destino ci ha mandato per primi dei nemici facili per poterci allenare. Abbiamo una vera possibilità : se sosteniamo i sistemi aperti e liberi e le organizzazioni che combattono per loro (EFF, Bits of Freedom, EDRI, ORG, CC, Netzpolitik, La Quadrature du Net e tutte le altre che sono, per fortuna, troppo numerose per citarle tutte) possiamo vincere la battaglia e assicurarci le munizioni che ci serviranno per la guerra.
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religione organizzata? no grazie
Il motivo per cui la religione organizzata merita ostilità aperta è che, a differenza della fede nella teiera di Russell, la religione è potente, influente, esente da imposte e inculcata sistematicamente in bambini troppo giovani per difendersi da sé. Niente obbliga i bambini a trascorrere i propri anni formativi memorizzando pazzi libri che parlano di teiere. Le scuole sovvenzionate dal governo non escludono bambini i cui genitori preferiscono teiere di forma sbagliata. I credenti nella teiera non lapidano i non credenti nella teiera, gli apostati della teiera, i blasfemi della teiera. Le madri non mettono in guardia i loro figli sullo sposare dei pagani, i cui genitori credono in tre teiere invece che in una. Le persone che mettono prima il latte non gambizzano quelle che mettono prima il tè - Il cappellano del Diavolo, Richard Dawkins
la religione della teiera
Se io sostenessi che tra la Terra e Marte ci fosse una teiera di porcellana in rivoluzione attorno al Sole su un’orbita ellittica, nessuno potrebbe contraddire la mia ipotesi purché io avessi la cura di aggiungere che la teiera è troppo piccola per essere rivelata persino dal più potente dei nostri telescopi. Ma se io dicessi che, giacché la mia asserzione non può essere smentita, dubitarne sarebbe un’intollerabile presunzione da parte della ragione umana, si penserebbe giustamente che stia dicendo fesserie. Se però l’esistenza di una tale teiera venisse affermata in libri antichi, insegnata ogni domenica come la sacra verità e instillata nelle menti dei bambini a scuola, l’esitazione nel credere alla sua esistenza diverrebbe un segno di eccentricità e porterebbe il dubbioso all’attenzione dello psichiatra in un’età illuminata o dell’Inquisitore in un tempo antecedente. – Bertrand Russel
tollerare i papisti?
I papisti non devono godere del beneficio della tolleranza, perché, dove hanno il potere, si ritengono obbligati a negare la tolleranza agli altri – John Locke
Ancora sul reddito di cittadinanza…
Approfondiamo il tema del reddito di cittadinanza (vedi anche Reddito universale anziché sussidi. L’esempio svizzero )
Nessuno deve lavorare, ma chi vuole lo può fare. E’ la prima visione di società per il 21esimo secolo che il bimensile svizzero Beobachter ha proposto ai suoi lettori il 6 gennaio 2011, poi ripreso da altri.
Quello che può sembrare il Paese del bengodi è invece un’idea che trova adepti a destra come a sinistra. Anziché spingere i disoccupati in un mondo del lavoro che non ha bisogno di loro, essi disporrebbero di una somma per poter vivere. Se poi trovassero un lavoro retribuito, se la passerebbero meglio. Tutto qui. A quel punto non ci sarebbero più persone a carico della società e nessuna invidia sarebbe giustificata, giacché il reddito di base spetterebbe a tutti.
Certo, anche i dubbi albergano in ambedue gli schieramenti. Comunismo dolce o liberalismo puro? Ma già il discuterne può indurre a cambiamenti.
Quest’anno in Svizzera ci saranno le elezioni politiche e non è il momento giusto per una proposta di legge d’iniziativa popolare. Meglio aspettare il 2012, quando i cittadini si saranno liberati dalle promesse elettorali. Nel frattempo il tema può essere trattato da pubblicazioni, film, incontri, forum in Rete. E non mancano personalità importanti che si dicono d’accordo con questa visione.
“Chi è contrario cerca motivazioni, chi è favorevole trova le strade”, dice Daniel Haeni (44 anni), responsabile di una struttura polifunzionale ricavata da un’ex banca a Basilea. Il reddito incondizionato è un impulso culturale, dice. “Nessuno deve temere che sarà introdotto già domani. Ma appena l’idea dovesse trovare una maggioranza diventerà ovvia come il voto alle donne”.
La domanda che Haeni si pone da vent’anni è: che cosa fanno le persone quando non sono costrette a fare qualcosa? Lui, ad esempio, ha usato il reddito incondizionato per un anno, avuto da una fondazione, per gettare le basi della sua attività -l’ex banca ristrutturata e affittata ad artisti, ricercatori, architetti, Ong, e con un caffè dove le consumazioni non sono obbligatorie (sorprendente quanto la gente consumi se non è tenuta a farlo).
Che cosa farebbero le persone se disponessero di un reddito “a prescindere” se l’è chiesto anche la rivista economica tedesca brand eins, con questi risultati: il 90% degli intervistati ha risposto che continuerebbe a lavorare, ma l’80% pensa che gli altri smetterebbero subito. Qui i conti non tornano. Forse perché le persone non sono sincere con se stesse? Oppure ingiuste verso gli altri? “E’ corretta l’ultima risposta”, dice Haeni. “Abbiamo in mente due immagini dell’uomo: una vale per me e i miei amici, la seconda per tutti gli altri”. E perché agli altri tocca l’immagine peggiore? “Molte persone si sentono sempre sotto minaccia anche se viviamo nella sovrabbondanza economica. Pensano che gli altri abusino della nostra fiducia, quando invece -se fossimo sinceri- vedremmo che succede molto di rado. Tutta la nostra vita si costruisce sulla fiducia”. Purtroppo, i mezzi di comunicazione e i politici alimentano le paure, ed è un freno per gli individui. “Il reddito di base potrebbe togliere la paura di fondo ed essere uno stimolo per liberare la creatività “. Haegi ne è convinto. Già il confrontarsi con l’idea aiuta.
Con lui c’è Daniel Straub, che un anno fa ha creato insieme a un amico l’Agenzia del reddito di base, per la ricerca e l’introduzione di questo strumento. I tre portano avanti la proposta di legge d’iniziativa popolare. Straub è convinto che i disoccupati siano un grave danno umano ed economico per tutti. Parla di una burocrazia abnorme dedita a individuare, controllare, gestire chi non lavora; di una crescita insensata di operatori sociali molto ben pagati, di medici e legali che altro non fanno se non cercare di capire quali disoccupati, e per quale motivo, sono a carico di un ente assicurativo o sociale anziché di un altro. Ecco perché l’idea piace anche a persone di cultura liberista.
Per quanto i motivi del reddito universale possano essere diversi, la soluzione è la stessa. Semmai si litiga sulla somma e su chi dovrebbe finanziarla. C’è chi vorrebbe tenerla bassa per mantenere alta la motivazione al lavoro. Haeni e Straub invece la vorrebbero più alta, in modo che le persone s’impegnino socialmente senza dover rincorrere un impiego retribuito. Una dozzina di persone al mondo s’è occupata di quest’aspetto. Nella pubblicazione di Basic Income Earth Network sul finanziamento del reddito universale, ci sono anche i calcoli relativi alla Svizzera. Vi si legge che oggi è possibile dare alla popolazione 1500 franchi (1150 euro) a testa (inclusi i bambini) senza dover aumentare la quota delle prestazioni sociali -che rappresentano un quarto del Pil. 1500 franchi sono 1000 in meno del minimo esistenziale calcolato dalla Conferenza svizzera per l’aiuto sociale (SKOS). Ma con un reddito da lavoro, la maggioranza dei cittadini disporrebbe di una somma superiore all’attuale. Il reddito di base potrebbe così raggiungere una cifra consona a una vita dignitosa, garantita dalle imposte sui patrimoni e i redditi più alti. Per Haeni questa sarebbe una pessima soluzione. “Tutte le imposte e i contributi che oggi vengono prelevati nel corso del processo produttivo dovrebbero essere presi al momento della vendita del prodotto, attraverso l’imposta sul valore aggiunto (Iva). Oggi, chi produce paga imposte e contributi per il personale, che poi riversa sul prodotto finale, perciò è sempre il consumatore a pagare”. Ecco perché Haeni vorrebbe l’adeguamento continuo dell’Iva, che considera un’imposta più trasparente e più onesta, che non intralcia il processo produttivo, che non scappa, ed è anche globalmente la più giusta. Questa sua teoria è condivisa da Goetz Werner, proprietario della catena tedesca di drogherie DM (33000 dipendenti e un fatturato di 5,2 mld di euro), da tempo favorevole al reddito universale da finanziare attraverso una riforma radicale dell’Iva. E’ un argomento che va a colpire un tabù della sinistra, ossia l’uguaglianza sociale tramite la progressività delle imposte. L’imposta sul valore aggiunto è uguale per tutti, ma chi consuma di più paga anche più Iva -ecco il risvolto di giustizia sociale.
Pulire per continuare a viaggiare in Porsche
Daniel Haeni pensa che sia giunto il momento di dire addio alla tradizionale lotta per il lavoro. Il lavoro retribuito non è più un buon criterio per la redistribuzione della ricchezza e qualche sindacato comincia ad accorgersene.
Resta la domanda di chi dovrebbe fare i lavori meno gratificanti. “Le aziende dovranno proporre offerte appetibili e concorrenziali. Può darsi che in futuro la donna delle pulizie viaggi in Porsche”. Poi si corregge: “Gli uomini andranno a fare le pulizie per poter continuare a viaggiare in Porsche”.
Da un’intervista di Beobachter a Oswald Sigg, ex portavoce del Governo svizzero
“Da tempo rifletto sul reddito universale. Al momento m’interessa capire come far maturare l’idea nella nostra cultura politica. L’unico modo è una legge d’iniziativa popolare. Basterebbe un testo breve: La Confederazione introduce un reddito di base per tutti gli abitanti. I particolari sono stabiliti da una legge. Dopo ci sarà buriana, l’iniziativa verrà bocciata, così come quella successiva, ma forse in 20, 30 o 50 anni l’obiettivo sarà raggiunto.
La democrazia diretta può essere un indicatore insperato di nuove visioni del mondo. Anche quando non centra il bersaglio, porta a dei risultati, magari parziali”.
Incontro pubblico a Zurigo
Il 19 marzo si è tenuto un incontro su questo tema al Kongresshaus di Zurigo. Se per Roger Koeppel, redattore capo del settimanale Weltwoche, il reddito universale è un errore in quanto toglie alle persone la spinta alla produttività , per l’ex direttore economico della banca UBS, Klaus Wellershoff, è un’opportunità per potenziare le capacità operative. Il primo è convinto che un reddito garantito indebolisca la produttività e impoverisca la società ; il secondo crede che un tale cambiamento di paradigma favorisca la competitività di un Paese.
L’unico punto su cui i due si sono trovati d’accordo è che l’attuale sistema sociale ha davanti a sé enormi problemi e dev’essere cambiato.
Quello che è apparso chiaro dal duello tra i due è che l’idea del reddito universale non rientra negli schemi classici sinistra-destra. Sia gli oppositori sia i favorevoli portano in campo l’argomento Stato. I primi sostengono che per realizzare quest’idea ci vuole più Stato; i secondi dicono che il potere dello Stato verrebbe ridotto. Sarà perciò interessante osservare quali forze politiche sosterranno l’iniziativa -qualora vada in porto- e da dove soffierà il vento contrario.
Disgorgante naturale: soluzioni ecologiche per l’intasamento del lavandino
A tutti è capitato o capiterà , nella vita, di avere problemi di scarico con i lavandini di casa.
Non è un dramma. O meglio, lo è nei casi più gravi ma lo è ancora di più se si utilizzano i disgorganti chimici tradizionali che provocano gravissimi danni all’ambiente. Pensiamo, infatti, a tutti i prodotti che utilizziamo solitamente per le pulizie domestiche che finiscono negli scarichi delle nostre case e che arrivano fino alle falde acquifere.
I prodotti venduti nei supermercati, infatti, oltre a contenere sostanze dannose ed inquinanti, incidono notevolmente sul bilancio familiare. A volte, invece, bastano pochi e semplici ingredienti naturali per risolvere diversi problemi quotidiani.
Prima di cominciare un piccolo suggerimento di “manutenzioneâ€: come buona norma per mantenere pulito lo scarico del lavandino versatevi dell’acqua e sale appena bollita, oppure la polvere di caffè usata unitamente all’uso dello sturalavandino (ha un effetto abrasivo che aiuterà a rimuovere quanto si deposita sulle superfici delle tubature).
Poi, se non bastasse, ecco alcune “ricette†specifiche di disgorgante naturale:
- Provate con i metodi meccanici tipo la spirale e il sifone.
- Oppure: versate 4 cucchiai di sale seguiti da 4 di bicarbonato e da acqua bollente, con l’accortezza di lasciar agire per qualche minuto.
- O ancora: usate l’acqua di cottura delle patate versata calda nello scarico.
- Altro metodo è quello di fare bollire un litro d’aceto e versarlo lentamente nello scarico. Bisogna aspettare qualche ora prima di utilizzare il lavello. In alternativa puoi provare anche con un solo bicchiere di aceto al quale avrai aggiunto un cucchiaio di sale.
- Per gli scarichi più otturati si può provare con un bicchiere di sale fino, uno di bicarbonato di sodio, due di aceto bianco e acqua bollente. Prima si versa il sale, poi il bicarbonato, poi l’aceto. L’aceto inizia subito a friggere a contatto con il bicarbonato e bisogna lasciar agire almeno un paio di minuti, prima di versare l’acqua bollente (che farà friggere di nuovo il tutto). Se la situazione è ancora più grave, si lascia agire per un’intera notte e si riserva l’acqua bollente per la mattina seguente.
- Per i casi più disperati e difficili, usate la soda caustica a scaglie sulle tubature e poi versare tanta acqua calda. Vi consigliamo di usare i guanti e una mascherina per non respirare i vapori.
- Un’ultima ricetta della nonna: miscelate tra loro ½ tazza di sale, ½ tazza di bicarbonato di soda e ¼ tazza di cremore di tartaro (acido tartarico) e versatela nello scarico. Infine versate un bollitore di acqua bollente e lasciate riposare almeno un paio d’ore prima di risciacquare.
Oltre a motivazioni “ecologiche”, usare metodi naturali è conveniente anche dal punto di vista economico: pensate a quanto costano i prodotti chimici e a quanto costa sostituire le tubature “corrose” da prodotti (chimici) certamante efficaci ma anche molto aggressivi…
fonte: TuttoGreen – Disgorgante naturale: soluzioni ecologiche per l’intasamento del lavandino
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Reddito universale anziché sussidi. L’esempio svizzero
2500 franchi (1931 euro) al mese per tutti, potrebbero risolvere i problemi del finanziamento dello stato sociale. Due noti economisti, Thomas Straubhaar e Klaus Wellershoff, ridanno linfa a una vecchia idea, e auspicano l’introduzione di un reddito minimo d’esistenza.
Cosa accadrebbe se, da aprile, tutti i cittadini svizzeri ricevessero dallo Stato 2000 o 2500 franchi al mese (1545/1931 euro) senza contropartita? Diverrebbero tutti dei fannulloni o continuerebbero ad andare al lavoro -in quanto appartenenti ai 4 milioni e 618 mila persone attive e non ai 210.000 disoccupati, ai 230.000 fruitori di sussidi sociali, ai 460.000 percettori d’assegno d’invalidità ?
La maggioranza delle persone interpellate risponde che ovviamente continuerebbe a lavorare, invece quelli -sguardo eloquente puntato al bar di fronte, all’ufficio regionale del lavoro o al parco pubblico- QUELLI non alzerebbero più un dito in vita loro, ci puoi scommettere. “E’ la diversa percezione del micro- e macrocosmo. La gente considera il turco Alì vicino di casa una persona simpatica e gentile, ma parla male dei turchi in quanto gruppo straniero”, spiega Thomas Straubhaar, docente di Economia all’Università di Amburgo e direttore dell’Istituto di economia mondiale di Amburgo (HWWI).
Un’idea d’origine liberale
Il professore svizzero, che da quasi vent’anni vive e lavora nel Nord della Germania, è noto come pensatore economico liberale. E proprio lui si batte perché a ognuno sia garantita l’esistenza minima da una somma mensile, a prescindere da età , professione, entrate, stato sociale, sesso, salute, istruzione. “E’ una delle idee più ultraliberali che si possano immaginare. Non è un caso che l’economista Milton Friedman l’approvasse, per far sì che le agevolazioni non siano distribuite in modo paternalistico e in base a criteri arbitrari”, spiega Straubhaar. Se già si devono erogare sovvenzioni, il sistema di trasferirli dovrebbe essere il più possibile efficiente, trasparente ed equo.
Efficienza, trasparenza, equità è quanto promette la bozza Grundeinkommen (reddito di base, o di cittadinanza, o universale, o minimo di esistenza, ndr) visto che i sistemi pensionistici, costretti ad adeguarsi all’invecchiamento della popolazione, appaiono ormai obsoleti e burocratizzati, così come le indennità di disoccupazione e i relativi uffici preposti. Il reddito di base renderebbe inutili gli enti sociali.
Il potenziale risparmio sarebbe enorme. Nel 2007, la spesa sociale in Svizzera copriva il 27,3% del prodotto interno lordo secondo l’Ufficio federale di statistica. “Il deficit del sistema sociale odierno, divenuto così complesso che una decisione oculata sull’individuo non è quasi più possibile, verrebbero cancellati di colpo dal reddito di base”, dice Klaus Wellershoff, economista e consulente aziendale. Il 19 marzo parteciperà al congresso di Zurigo su questo tema, intitolato “Die neue Schweiz-ein Kulturimpuls” (La nuova Svizzera-un impulso culturale) -il primo nel Paese.
“Un reddito universale non potrà risolvere i problemi in una volta sola. Ma vogliamo fare piazza pulita di tutti gli errori”, chiarisce Christian Mueller, co-promotore del congresso, i cui 600 posti destinati al pubblico sono stati assegnati in pochi giorni. Tra gli errori s’intende la stigmatizzazione e l’emarginazione di tutte le persone che non partecipano più al processo lavorativo.
Libertà per spinte innovative
Il reddito minimo di esistenza darebbe agli individui la libertà di fare ciò che desiderano davvero: scrivere un libro, assistere la nonna, inventare un gioco nuovo per computer. “Diventerebbe più facile per ciascuno di noi muoverci nella società “, ritiene anche Klaus Wellershoff, giacché “per il solo fatto di poterci liberare dalla burocrazia e dalla scarsa trasparenza, acquisiremmo tempo e chiarezza”. Il potenziale sociale e creativo liberato non è valutabile, ma ce lo possiamo figurare: sarebbe grande, e imprimerebbe un enorme impulso alla congiuntura economica.
La cosa più difficile da valutare sono le conseguenze sul mercato del lavoro. Appare chiaro, però, che per la fascia più alta cambierebbe poco. “Per chi guadagna bene, il reddito di base sarebbe irrilevante, in fondo niente di più di una riforma fiscale”, ritiene Straubhaar, poiché “se da professore ottengo il reddito di base, l’aliquota fiscale aumenta e altrettanto l’imponibile lordo. Tutto sommato, il mio reddito netto rimarrebbe uguale”. Il costo per le attività che richiedono poca qualificazione dovrebbe invece salire per far sì che qualcuno le svolga comunque. Addetti ai servizi igienici, lavandaie e custodi guadagnerebbero più di oggi.
Molti studi sulla motivazione al lavoro indicano che, accanto all’incentivo del guadagno, nel lavoro esistono numerose attrattive intrinseche come i contatti sociali e la stima altrui, la gioia di lavorare, l’autorealizzazione. Dove però c’è un punto, sotto il quale c’è da aspettarsi l’effetto-impulso negativo e la motivazione al lavoro scompare. In Germania la soglia sarebbe attorno ai 1500 euro, in Svizzera 2500 franchi.
Iniziativa popolare
Il congresso sul reddito universale del prossimo sabato avvia la campagna per l’iniziativa popolare sul tema, che dovrebbe essere lanciata nell’estate 2012, voluta da diversi attori tra enti, agenzie e fondazioni. Negli ultimi anni sono sorte in tutto il mondo svariate iniziative e associazioni per il reddito di base, la maggiore delle quali è la rete internazionale BIEN (Basic Income Earth Network).
(articolo di di Sandra Willmeroth pubblicato sul quotidiano Neue Zuercher Zeitung am Sonntag del 13-03-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
fonte: ADUC – Reddito universale anziche’ sussidi. L’esempio svizzero
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il dono più grande
“Il dono più grande che ci ha fatto dio è senz’altro questo: che quando un fotone colpisce un semiconduttore libera un elettrone. Le leggi della fisica sono talmente benevole, talmente generose. Senta qua. C’è un uomo nella foresta, sotto la pioggia, e sta morendo di sete. Ha con sé un’accetta e comincia a tirar giù gli alberi per berne la linfa. Un sorso per ogni albero. Intorno gli si fa il deserto, niente più piante o animali, e l’uomo sa che per colpa sua la foresta scomparirà presto. Allora perché non apre la bocca e non beve la pioggia? Per il semplice motivo che è molto bravo a tirar giù alberi, perché ha sempre fatto così, e perché considera un po’ suonato chi propone di bere la pioggia. Ecco, la luce del sole è come quella pioggia. Inonda il nostro pianeta, condiziona il nostro clima e la sua vita. Una dolcissima pioggia di fotoni e tutto quel che dobbiamo fare è prendere i bicchieri e raccoglierla! Meno di un’ora di luce solare sulla terra basterebbe a soddisfare i bisogni del mondo intero per un annoâ€. Ian McEwan, Solar (Einaudi 2010).
fonte: Giovanni De Mauro -Â Internazionale – 17 / 24 marzo 2011
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