Ezra Pound

Un popolo che non s’indebita fa rabbia agli usurai – Ezra Pound

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AIDS

Quello che i media non dicono

sulla “peste del nuovo millennio”

 

di Gian Paolo Vallati

1. Introduzione

2. Perché il virus

3. Esiste davvero il retrovirus Hiv?

4. Quanto sono affidabili i test di sieropositività?

5. Assenza di correlazione tra sieropositività e malattia

6. Cos’è davvero l’AIDS

7. L’infettività e la trasmissione sessuale

8. Previsioni catastrofiche e statistiche fasulle

9. Catastrofe africana?

10. Terapie che uccidono

11. Il bavaglio all’informazione

12. Il grande affare della cattiva scienza

– Bibliografia

 

1. INTRODUZIONE

Questa è la storia vera ed incredibile di una epidemia inventata. Questa è la storia di un colossale affare in cui multinazionali, ricercatori, associazioni e istituti sanitari senza scrupoli hanno utilizzato il terrorismo sanitario al servizio del loro enorme business. E la storia di come, purtroppo, molti esseri umani inconsapevoli siano finiti nella macina, uccisi dalle stesse “terapie” che dovevano curarli.

“Tutti sono pronti a credere che la CIA menta, che il governo menta, che l’FBI menta, che la Casa Bianca menta. Ma che menta l’Istituto di Sanità no, non è possibile, la Sanità è sacra, tutto ciò che esce dagli Istituti Nazionali di Sanità è parola di Dio. Niente fa differenza, nemmeno la storia di come Gallo scoprì il virus, nemmeno il fatto che sia uno scienziato screditato e condannato per truffa. La strategia dell’establishment è sempre la stessa: ignorare. Meglio non rispondere, vuoi vedere che ci si accorge che c’è qualcosa di strano?” Harvey Bialy, microbiologo. 1

 

2. PERCHÉ IL VIRUS

Le malattie infettive costituiscono oggi soltanto l’1% di tutte le cause di morte nel mondo occidentale e ormai le grandi epidemie sono per lo più scomparse. Il merito di questa situazione, che spesso viene attribuito alla medicina, è in realtà dovuto al miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari. Ci sono numerosi studi a livello statistico ed epidemiologico che dimostrano come molte malattie (tubercolosi, difterite, polmonite, ecc.) cominciarono a declinare ben prima dell’introduzione di cure efficaci. 2

È cosa ben nota, anche ai non addetti ai lavori, che gli esseri umani e gli animali, sani o malati che siano, convivono da sempre con migliaia di microbi, virus e batteri, in gran parte assolutamente innocui. Alcuni sono addirittura utili, come l’escherichia coli, che colonizza l’intestino e aiuta la digestione. Perfino microbi patogeni provocano malattie gravi solo in individui con il sistema immunitario indebolito. Eppure gli scienziati sono sempre ossessivamente alla ricerca di nuovi virus e batteri, nella speranza di attribuire loro la causa di malattie che ritengono altrimenti inspiegabili. Le conseguenze di questa unica direzione di ricerca spesso sono rovinose perché ritardano la comprensione della vera causa e determinano la morte di molte persone. In passato lo scorbuto, la pellagra e il beriberi (solo per citare esempi eclatanti) sono state per lungo tempo attribuite a batteri, benché già allora alcuni ricercatori avessero dimostrato che erano dovute a carenze alimentari. Robert William, scienziato a cui si deve la scoperta della vitamina B1, così ha commentato questo atteggiamento dei cacciatori di microbi: “…la batteriologia era arrivata ad essere la pietra angolare dell’istruzione medica. A tutti i giovani medici era stata talmente istillata l’idea che le malattie erano causate da un’infezione, che ben presto venne accettato come assiomatico il concetto che non poteva esserci altra causa”.3

Ma nonostante tutto questo, la memoria di passate epidemie continua a suscitare angoscia e terrore. Poiché il virus è sempre un ottimo mezzo per creare panico, ci sono motivi molto poco nobili per cui ad ogni ipotetica nuova patologia si attribuisce sempre più spesso una genesi virale. Attraverso la paura infatti si possono convogliare immense somme di denaro e indottrinare la popolazione verso le terapie e i comportamenti voluti.

Così, allo stesso modo, comincia l’incredibile storia dell’Aids.

una delle numerose riproduzioni di fantasia che vengono spacciate per “retrovirus HIV”, che in realtà non è mai stato realmente isolato nè fotografato

3. ESISTE DAVVERO IL RETROVIRUS HIV?

Non esiste un documento scientifico ufficiale che provi che il cosiddetto HIV, ammesso che esista, provochi l’Aids. A dispetto di ciò che viene costantemente propagandato, il virus della immunodeficienza umana HIV non è stato mai isolato e fotografato. Le recenti scoperte derivate dal Progetto Genoma Umano hanno peraltro messo in grave crisi il concetto stesso di retrovirus.

COME NASCE IL PROBLEMA HIV

Nell’aprile del 1984 il dottor Robert Gallo annunciò in una conferenza alla stampa internazionale di aver scoperto un nuovo retrovirus che aveva chiamato HTLV-III (oggi conosciuto come HIV), e questo era “la probabile causa dell’AIDS”. Lo stesso giorno Gallo presentò il brevetto per un test di anticorpi, ora generalmente riportato come “il test dell’AIDS”. L’annuncio prese di sorpresa persino gli scienziati presenti tra il pubblico. Gallo aveva scavalcato una parte essenziale del processo scientifico: non aveva pubblicato i risultati delle sue ricerche in nessuna pubblicazione medica o scientifica, né li aveva sottoposti al normale processo di revisione tra colleghi prima di essere annunciati al pubblico. Quando alla fine la “prova di Gallo” fu pubblicata settimane più tardi, vennero fuori numerosi problemi. Le procedure di laboratorio che Gallo e i suoi collaboratori utilizzavano per provare l’isolamento vennero osservate soltanto nel 36% dei suoi pazienti di Aids, e soltanto 88% era positivo al test “degli anticorpi HIV”. Inoltre, per assicurare che soltanto i pazienti in AIDS e non l’intero gruppo di controllo risultasse positivo al test degli anticorpi, egli aveva diluito il sangue 500 volte. A diluizioni minori troppi soggetti sani del gruppo di controllo risultavano positivi al test. Questi fatti dovrebbero essere sufficienti a gettare seri dubbi sulle affermazioni di Gallo che egli avrebbe scoperto un nuovo retrovirus come “probabile causa dell’AIDS”. Grazie a questa “scoperta”, Gallo oggi percepisce l’1% dei proventi mondiali derivati dai test HIV. Tutta la carriera di Gallo è costellata di episodi che di scientifico hanno molto poco. Un eccellente elenco di quanto corrotta, ingannevole (e probabilmente perfino criminale) è stata la sua ricerca, può essere trovato nel libro “Science Fiction”, di John Crewdson, un giornalista scientifico del Chicago Tribune. In realtà, tutto quello che aveva scoperto Gallo era una attività enzimatica che lui attribuiva al presunto retrovirus, e le fotografie che mostrò erano di particelle simil-virali senza nessuna prova che fossero virus.4

A tutt’oggi il vero virus non ancora stato isolato, e le foto che vengono spesso mostrate sulle copertine dei giornali sono sempre e soltanto realizzazioni grafiche di fantasia. Eppure, grazie a quella famosa conferenza stampa, da quel momento tutto il mondo ha cominciato a credere che l’Aids fosse dovuto ad un virus. Così è nato il problema HIV e così dal 1984 ad oggi sono stati pubblicati più di 10.000 studi sull’HIV, ma nessuno di questi ha potuto dimostrare in maniera plausibile o provare in modo concreto che l’HIV causi l’AIDS. A tutt’oggi non esiste un documento scientifico ufficiale che fornisca una prova definitiva.

KARY MULLIS

Il premio Nobel Kary Mullis, inventore della PCR (Polymerase Chain Reaction), ha cercato invano per anni questo fondamentale documento. Di conseguenza ad ogni occasione, congresso scientifico, conferenza, seminario o incontro ha interpellato svariati virologi ed epidemiologi su dove trovare il riferimento bibliografico che spiegasse come l’HIV provochi l’AIDS. Ma nessuno dei colleghi è mai stato in grado di precisarlo. E neanche Montagnier e Gallo (considerati i massimi esperti mondiali di Aids) sono stati in grado di fornirglielo. Perché non esiste.5

LA “PROVA” FORNITA DAL NIAID

Per mettere una toppa a questa grave carenza, nel 1994 l’Ufficio di Comunicazione del NIAID/NIH, National Institute of Allergy and Infectious Diseases /National Institute of Health, realizzò un documento intitolato : ” La Prova che l’HIV è causa dell’Aids”. È il documento più completo che si conosca che tenta di rispondere all’affermazione che l’HIV non è la causa dell’Aids. Ma questo elaborato, che viene spesso citato come prova definitiva, di fatto non è documento scientifico, come hanno dimostrato in una puntuale confutazione alcuni ricercatori internazionali.6 Oltre ad essere un documento anonimo, è infatti seriamente screditato dal mancato rispetto degli standard scientifici e fallisce nel fornire una prova credibile a sostegno del suo assunto fondamentale. Si tratta quindi soltanto dell’ennesimo strumento di propaganda.

UNO SCIENZIATO CONTRO: PETER DUESBERG

Peter Duesberg, membro della prestigiosa National Academy of Science, è docente di biologia molecolare e cellulare presso la University of California a Berkeley, oltre ad essere un pioniere nella ricerca dei retrovirus e il primo scienziato ad aver isolato un gene del cancro. È uno dei pionieri più prestigiosi tra i dissidenti della ricerca. Gli ingenti finanziamenti di cui disponeva come ricercatore di fama mondiale gli sono stati drasticamente ridotti quando ha cominciato a mettere in dubbio il dogma Hiv- Aids e la teoria della trasmissione sessuale del morbo. Il primo marzo 1987 sulla prestigiosa rivista Cancer Research comparve un suo articolo in cui affermava che non vi erano prove convincenti del fatto che un retrovirus come l’HIV sia in grado di causare l’AIDS. Da allora Peter Duesberg è uno degli uomini più discussi d’America. Le sue ipotesi e le sue affermazioni sono state di volta in volta definite ‘irresponsabili’, ‘pericolose’, ‘immorali’, ‘dannose’ e perfino ‘criminali’. Per alcuni Duesberg è una ‘minaccia pubblica’, per altri invece un ‘novello Galileo’ in lotta contro l’ottusità dominante. Secondo il direttore dell’autorevole periodico medico The Lancet, Duesberg è “probabilmente lo scienziato vivente più diffamato in assoluto”, per altri addirittura “il Nelson Mandela dell’AIDS, colui che guida la lotta contro l’Apartheid dell’HIV”. Nonostante le sue previsioni trovino sempre più conferme a livello epidemiologico, oggi è stato emarginato da una comunità scientifica che ha tutto l’interesse a perseguire una strada ricchissima di finanziamenti. Le sue tesi non sono ancora state confutate, mentre alle sue domande ed obiezioni si è risposto che: “…dovrebbe essergli impedito di parlare in televisione. Sì, una linea auspicabile sarebbe quella di impedire i confronti televisivi con Duesberg” (Nature, 1993)

INNOCUITA’ DEI RETROVIRUS

Dal 1970, anno in cui si ipotizzò l’esistenza dei retrovirus, ne sono stati individuati ed isolati circa 200, tutti assolutamente innocui. Tutti meno quello HIV, che oltre ad essere assolutamente terribile è anche l’unico mai realmente isolato.

PROGETTO GENOMA E RETROVIRUS

Ma sin dal 2001, anno in cui sono arrivati i risultati del Progetto per la mappatura del Genoma Umano è stato chiaro che stava per essere irrimediabilmente buttato a mare il concetto stesso di “retrovirus”. Per comprendere a fondo la questione è necessaria una breve digressione di storia della biologia. La visone accettata sin dagli anni ’50 era che il DNA trascrive le informazioni al RNA, (e mai il processo inverso) attraverso una relazione gerarchica rappresentata dal flusso unidirezionale DNA -> RNA -> proteine. Il RNA (acido ribonucleico), era quindi considerato l’umile messaggero del DNA (acido desossiribonucleico), che governava invece la cellula. Questo era il dato fondante del cosiddetto “Dogma Centrale della Genetica Molecolare”, su cui si è basata tutta la biologia dagli anni cinquanta in poi. Il concetto di “retrovirus” prese forma quando nel 1970 fu scoperto, in estratti di certe cellule, un enzima (denominato poi “transcriptasi inversa”) capace di convertire la molecola di RNA in DNA. I ricercatori, insomma, verificarono che alcuni RNA trascrivevano se stessi “all’inverso” al DNA. Ma (in ossequio al Dogma Centrale) si dissero che qualsiasi cosa causa la trascrizione dal RNA al DNA è da considerarsi eccezionale e deve essere una sorta di contaminazione virale (da cui il termine “retrovirus”). Dunque, negli anni ’70, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo la attività transcriptasica inversa venisse rivelata si riteneva che i retrovirus fossero presenti. Questo si dimostrò un grave errore, poiché era già noto agli inizi degli anni ’80 che la medesima attività enzimatica era presente in tutta la materia vivente provando così che la transcriptasi inversa non aveva niente a che fare con i retrovirus per sé. 7

La questione è stata ben sintetizzata nel 1998 dal virologo Stephen Lanka: “…studiando la biologia evolutiva trovai che ognuno dei nostri genomi, e quelli delle maggiori piante e animali, è il prodotto della cosiddetta trascrizione inversa: RNA che si trascrive nel DNA. […] L’intero gruppo di virus cui l’HIV apparterrebbe, i retrovirus […] nei fatti non esiste per nulla”. 8

Ciò nonostante molti scienziati non tennero conto di questa evidenza e continuarono a lavorare alacremente sull’ipotesi oramai falsificata. Ma gli ultimi sviluppi del Progetto Genoma Umano dimostrano ormai inequivocabilmente che il passaggio da RNA a DNA non è affatto una aberrazione, piuttosto è ciò che potrebbe spiegare la complessità umana. Il DNA sarebbe allora come una sorta di libreria dove il RNA va a prendere le informazioni che gli servono per governare la cellula. Il Dogma Centrale è soltanto una costruzione teorica che non ha retto alla prova dei fatti. Queste recenti scoperte segnano la fine del paradigma HIV/AIDS, e spiegano perché la scienza ha fallito la cura della malattia a dispetto di almeno venti anni di sforzi. Perché se l’ HIV è un retrovirus, la teoria virale dell’Aids è priva di fondamento.

4. QUANTO SONO AFFIDABILI I TEST SULLA SIEROPOSITIVITÀ?

I test dell’Aids (Elisa e Westernblot) non sono attendibili perché, oltre a non essere precisi, esistono più di sessanta fattori diversi che possono dare dei falsi positivi. I test non sono standardizzati, i risultati variano da laboratorio a laboratorio, le linee guida per la loro interpretazione variano da paese a paese. Inoltre si può risultare positivi al Westernblot e negativi all’Elisa, o viceversa. Due sono le analisi fondamentali per stabilire la sieropositività in una persona: l’Elisa e il Western Blot. Nell’Elisa una miscela di proteine dell’Hiv reagisce con anticorpi nel siero prelevato dal paziente, provocando una variazione di colore nel preparato. Il test Elisa produce fino al 90% di errore in una sola direzione (i negativi li fa diventare positivi, i positivi rimangono tali e quali). Nel WB, le proteine dell’Hiv vengono separate su una striscia di nitrocellulosa. Questo consente una reazione individuale delle singole proteine, che vengono visualizzate con una serie di bande di colore più scuro. L’esame WB viene utilizzato di solito a conferma di un test Elisa positivo, ma risulta altamente impreciso anch’esso.

NON ESISTONO CRITERI STANDARD

Prima del 1987 una sola banda Hiv specifica era considerata come prova di un avvenuto contagio, in seguito si venne a scoprire che il 25% degli individui sani – e non a rischio – presentano bande Hiv specifiche e quindi fu urgente ridefinire un WB positivo aggiungendo bande extra e selezionandone di particolari. Ma anche in tal modo i problemi sono sempre presenti: su 89.547 campioni di sangue analizzati, prelevati da degenti non a rischio ed in maniera anonima in 26 ospedali americani, una percentuale del 21,7% dei maschi e il 7,8% delle femmine risultò positiva al test WB. Quindi la correlazione tra anticorpi Hiv e Aids, comunemente accettata dagli esperti, sembra un’invenzione dell’uomo. L’artificiosità di tale relazione è evidente nel dato di fatto che istituti e nazioni differenti stabiliscono come test di sieropositività serie di bande WB diverse. Questo comporta che in Australia un test richiede quattro bande per essere positivo, mentre negli USA ne sono sufficienti due o tre, che siano o meno le stesse bande richieste in Australia. In Africa, addirittura, basta una sola banda. A conti fatti, una persona esaminata ipoteticamente lo stesso giorno nei tre differenti luoghi, può risultare sieropositiva in un paese e sieronegativa in altri. Il sistema di valutazione varia addirittura da laboratorio a laboratorio di uno stesso stato e, nella medesima sede di analisi, anche da un giorno all’altro si possono riscontrare risultati differenti! Uno documentario che la Meditel Produzioni ha realizzato a Londra per la BBC nell’ottobre 1996 mostrò che un campione di sangue fornito da un volontario fu valutato tre volte positivo e due volte negativo nello spazio di un mese.

I FALSI POSITIVI

A rendere la tragicommedia una vera tragedia è la possibilità che ad una o più bande si possa verificare una falsa reattività. La reazione al test, evidentemente instabile, è spesso associata ad un aumento aspecifico delle immunoglobuline, il che si verifica in molte situazioni, come nel corso di malattie autoimmuni, di infezioni croniche, di malaria, di parassitosi, talvolta anche per motivi banali come una vaccinazione antinfluenzale. Sono stati contati circa 60 fattori estranei all’HIV che possono determinare un test positivo. Secondo gli esperti queste reattività vengono innescate da anticorpi non Hiv (che tutti noi possediamo) reagenti alle proteine Hiv. In parole povere, un anticorpo che reagisce ad una determinata proteina non è necessariamente un anticorpo prodotto dal sistema immunitario come risposta specifica a quella certa proteina. E quindi le popolazioni povere dell’Africa, il continente con il maggior numero di casi di sieropositività, esposte ad una miriade di infezioni e che producono moltitudini di anticorpi, avranno una falsa reattività ai test molto più alta che in altri paesi.

IN DEFINITIVA: NESSUN VALORE AI TEST

La positività ai test ha un valore sostanzialmente nullo perché: o essa è correlata in modo comunque incompleto a molte malattie, sia immunodepressive che non, anche estranee all’AIDS; o essa è però correlata anche ad un ottimo stato di salute, come dimostrano i milioni di sieropositivi, sanissimi da molto tempo; o essa, sicuramente, non dimostra la presenza dell’HIV o di qualsiasi altro virus; o essa, contrariamente a quanto si è voluto dare a credere, non equivale affatto ad una sentenza di morte: anche le disparate sindromi patologiche definite AIDS possono regredire quando l’organismo del paziente non è molto compromesso. Mentre l’utilità dei test è nulla, il loro danno può essere immenso perché: o la comunicazione al paziente del risultato positivo al suo test dell’AIDS provoca quasi sempre un grave trauma psichico e può sconvolgere l’intera vita familiare, lavorativa, affettiva e sociale; qualcuno in passati si è anche suicidato. o non di rado la diagnosi di AIDS basata su questi test spinge i medici e il paziente ad intraprendere una terapia con AZT o altri “anti-retrovirali”, che sono pesantemente tossici e producono effetti molto pericolosi.

 

5. ASSENZA DI CORRELAZIONE TRA SIEROPOSITIVITÀ E MALATTIA

La grandissima parte dei sieropositivi può vivere una vita assolutamente normale per decine di anni senza riscontrare alcun sintomo di malattia. Alla fine degli anni ’80 venne creato un clima di terrore sostenendo che i sieropositivi fossero dei condannati a morte, destinati a morire nel giro di 18 mesi. Si dava per scontata la corrispondenza tra sieropositività e malattia conclamata, e che lo sviluppo dell’AIDS per i sieropositivi fosse inevitabile e solo una questione di tempo. In seguito si è riscontrato che soltanto una percentuale molto ridotta di sieropositivi sviluppa la malattia, mentre la gran parte dei cosiddetti “infetti” vive bene e a lungo senza mai riscontrare problemi. Eppure si continuarono a definire “malati asintomatici” le persone sieropositive. Da molti anni ricercatori indipendenti (tra cui il prestigioso Gruppo di Perth, in Australia) sostengono che, poiché non è mai stata scientificamente provata la correlazione tra HIV e AIDS e la reale validità dei test, la cosiddetta sieropositività non significhi assolutamente nulla. HIV:

UNO STRANO TIPO DI VIRUS

Un grosso problema della teoria dell’AIDS è che i ricercatori non sono stati mai in grado di scoprire nelle persone sieropositive una quantità di virus tale da compromettere la salute. Ed un altro fatto clamoroso è che l’HIV non è citotossico; questo significa che quando il virus si moltiplica non distrugge le cellule presenti, come fanno invece altri virus che distruggono le cellule che infettano. L’eminente virologo Peter Duesberg così commenta questo fatto: “il virus infiltra o infetta un numero molto basso di cellule, appena una su 100mila. Per essere nocivo, per uccidere (…) un microbo deve pur fare qualcosa. Altrimenti è come tentare di conquistare la Cina uccidendo tre soldati al giorno”9 Secondo Duesberg l’HIV si comporta come uno dei numerosissimi innocui microbi di transito sempre presenti nel corpo umano. Ed è esso stesso innocuo. Il fatto che milioni di persone abbiano contratto l’Hiv alla nascita eppure siano adulti sani è l’argomento più significativo, secondo Duesberg, contro l’ipotesi Hiv-Aids, perché dimostra che l’Hiv non può essere un agente patogeno letale.

VENTI ANNI DI INCUBAZIONE?

Per giustificare questo comportamento innocuo del HIV si è trovato l’espediente di definirlo un “lentovirus”, cioè un virus che agirebbe sui tempi lunghi. Tutte le malattie infettive virali, salvo rare eccezioni, hanno una incubazione breve, di pochi giorni o settimane. Invece l’incubazione del virus dell’AIDS è stata calcolata inizialmente attorno ai 18 mesi, per aumentare poi di anno in anno, fino a raggiungere nel 1992, i 10/14 anni. Oggi addirittura si sostiene che l’incubazione arrivi a più di 20 anni (cioè si può tranquillamente convivere con l’Hiv per tale periodo senza avere nessun sintomo di malattia).

HIV, IL VIRUS CHE NON C’È

La letteratura medica ha registrato finora più di 5000 casi di AIDS sieronegativi (cioè presentano i sintomi ma non vi è presenza di HIV). Ma una peculiarità delle malattie infettive virali è che hanno una causa unica (il virus), e ovviamente non possono verificarsi in sua assenza. Così non c’è varicella senza il virus della varicella, non c’è morbillo senza il virus del morbillo e così via. Di conseguenza in teoria non può esistere Aids senza la presenza del cosiddetto retrovirus HIV. Eppure…

6. COSA È DAVVERO L’AIDS

L’Aids, più che una malattia specifica, è una definizione che comprende un alto numero di malattie già conosciute. Queste malattie non sono affatto associate sempre ad immunodeficienza, sono definite AIDS solo se associate ad un test positivo.

L’AIDS È UNA CATEGORIA, NON UNA MALATTIA

Nessuna delle diverse malattie che attualmente definiscono l’AIDS è recente e nessuna si manifesta esclusivamente in persone sieropositive. Di fatto AIDS è il nuovo nome che i CDC (Centers for Disease Control)10 americani hanno dato ad un insieme di affezioni comuni più o meno gravi, tra cui micosi, herpes, diarrea, alcune polmoniti, salmonella, tubercolosi. Se una persona ha la tubercolosi e risulta positiva al test allora “ha l’AIDS”. Se invece ha la tubercolosi ed il test è negativo, allora ha “soltanto la tubercolosi”. È addirittura possibile che venga definito malato di Aids, ( sindrome da immunodeficienza acquisita), chi non ha nemmeno presenza di immunodepressione!

LA MALATTIA SI ADATTA ALLA DEFINIZIONE

La definizione di AIDS ha subito varie modificazioni, nel 1986, nel 1987 e nel 1993 e ad ogni revisione il numero delle condizioni patologiche ritenuto correlato all’AIDS viene aumentato: attualmente esse sono ben 29, e tutte già conosciute prima dell’AIDS. Esemplare è il caso dell’ultima revisione: Il 1° gennaio 1993 i CDC decisero di includere nella definizione di AIDS non una malattia, ma una condizione. Chi aveva un numero di linfociti T inferiore a 200 (anche se perfettamente sano) veniva incluso tra i malati di AIDS. Questo ha fatto sì che il numero di casi di AIDS negli Stati Uniti raddoppiasse artificiosamente nel giro di una notte. Questa ricorrente variazione ha portato ad una continua dilatazione del numero dei soggetti definiti “malati di AIDS”: se, ad esempio, negli Stati Uniti con la definizione del 1986 potevano essere definiti malati di AIDS mille pazienti, con quella del 1987 sarebbero diventati 1.300 e con quella del 1993 avrebbero raggiunto il numero di 2.275.11

Di recente è stata inclusa nell’elenco una nuova patologia tipicamente femminile, il cancro della cervice. Come ha svelato P. Duesberg: “…la ragione di questa aggiunta è solo politica: è stata dichiaratamente inserita per aumentare il numero delle femmine malate di AIDS, creando così l’illusione che la sindrome si stia diffondendo tra gli eterosessuali”.12

L’AIDS NON È UGUALE IN TUTTO IL MONDO

Anche qui, come per i test di sieropositività, non esiste un criterio universalmente riconosciuto per la definizione della sindrome. La regola per stabilire cosa sia l’AIDS varia da nazione a nazione: la definizione di AIDS negli Stati Uniti è diversa da quella europea che a sua volta è diversa dalla definizione africana. La WHO, ( World Health Organization)13 in Africa utilizza per definire l’AIDS due definizioni nettamente diverse, nessuna delle quali corrisponde ai criteri utilizzati negli USA o nella UE. Generalmente in Africa non si richiede il test HIV, ma è sufficiente che un paziente presenti tre dei principali sintomi clinici (perdita di peso, febbre e tosse) più un sintomo minore (è sufficiente un prurito generalizzato) per poterlo dichiarare affetto da AIDS. E questo, come si vedrà più avanti, spiega la reale consistenza della presunta “catastrofe africana” .

7. L’INFETTIVITA’ E LA TRASMISSIONE SESSUALE

Il virologo Peter Duesberg è assolutamente convinto che l’Hiv non sia infettivo. Nel suo libro ” Inventing the Aids virus” (1996), tra l’altro afferma: “Negli ultimi 14 anni oltre 500.000 pazienti di Aids sono stati curati da un sistema sanitario che comprende cinque milioni di medici, infermieri e ricercatori nessuno dei quali è stato vaccinato contro l’HIV. (…) quattordici anni dopo non c’è neanche un caso nella letteratura scientifica di un operatore sanitario che abbia presumibilmente contratto l’AIDS da un malato. Proviamo ad immaginare come sarebbe la situazione se 500.000 malati di colera, epatite, sifilide, influenza o rabbia fossero stati curati per 14 anni da personale medico e paramedico privo di vaccini e farmaci adeguati… migliaia avrebbero contratto quelle malattie.” A distanza di quasi dieci anni dall’uscita del libro le cose non sono affatto cambiate. Questo, secondo Duesberg, significa una sola cosa: “l’AIDS non è infettivo”.

LA TRASMISSIONE SESSUALE

“Basta un solo rapporto!”. Per anni questo è stato il terribile ammonimento che tutti i mezzi di comunicazione hanno continuamente diffuso. Ed invece la trasmissione sessuale, che secondo gli “esperti” sarebbe il veicolo principale della diffusione del virus, si è dimostrata essere estremamente inefficace, dipendendo anche da più mille rapporti sessuali a soggetto per una reale possibilità di contagio. Nel 1997 un gruppo di studiosi statunitensi14 ha pubblicato i risultati di dieci anni di studi sulla trasmissibilità dell’Hiv tra eterosessuali nel nord della California. Lo studio ha stabilito che la trasmissione da maschio a femmina è estremamente bassa, approssimativamente lo 0.0009 per contatto sessuale, e approssimativamente otto volte minore è la trasmissione da femmina a maschio. Questo significa che una femmina dovrebbe avere almeno 3330 rapporti sessuali per raggiungere il 95% di probabilità di infezione.

Quindi, con la frequenza ipotetica di un rapporto sessuale al giorno, ci vorrebbero 2 anni e due mesi per avere il 50% di possibilità di infezione, e 9 anni per raggiungere il 95%. Nel caso inverso, da femmina sieropositiva a maschio, la trasmissione dell’Hiv richiederebbe almeno 27.000 rapporti sessuali per arrivare al 95% di probabilità di trasmissione (cioè 74 anni di rapporti sessuali giornalieri!). Se davvero la diffusione del virus fosse dovuta al sesso, l’Hiv sarebbe scomparso da tempo. Ed infatti, nonostante l’allarmismo, l’AIDS è rimasto confinato a gruppi in cui sono presenti fattori di rischio ben precisi: a) tossicodipendenti: (circa il 32% dei malati in USA e il 60% in Italia) si tratta di individui che oltre a subire gli effetti negativi dell’eroina, della cocaina, dell’alcool, delle anfetamine e di altre sostanze psicotrope (molte droghe hanno effetto depressivo sul sistema immunitario), si alimentano in maniera scorretta ed insufficiente e sono colpiti in modo più o meno continuo da infezioni multiple. In queste condizioni di vita l’immunodepressione è garantita. b) omosessuali maschi: (circa il 62% in USA e il 48% in Europa) il problema riguarda soprattutto gli utilizzatori sistematici di droghe multiple, cocaina, ecstasy, alcool, poppers e nitriti assunti per via inalatoria a forti dosi (i nitriti sono sostanze molto reattive, causano immunodepressione, e vengono utilizzati per il loro effetto afrodisiaco e rilassante per la muscolatura sfinterica). c) emofiliaci e politrasfusi (circa l’1% in USA e il 3% in Europa). I carichi di proteine estranee sono essi stessi immunodepressivi sia in emofiliaci sieropositivi che sieronegativi.15

 

8. PREVISIONI CATASTROFICHE E STATISTICHE FASULLE

“Entro il 1996, dai 3 ai 5 milioni di statunitensi risulteranno positivi all’HIV e un milione morirà di AIDS” (Antony Fauci, direttore del NIAID – New York Times 14.1.86) “Entro il 1990 un eterosessuale su cinque sarà morto di AIDS” (Oprah Winfrey, The myth of hetherosexual AIDS, 1987) Da anni ormai l’Aids è in costante decremento ed è rimasta una malattia marginale, a dispetto di tutte le previsioni catastrofiche diffuse negli anni scorsi. Come mai allora tutti i mezzi di informazione continuano a diffondere statistiche sempre più allarmanti? È possibile solo a costo di barare sui dati reali, con alcuni piccoli ma efficaci trucchi. Il primo è quello di presentare i dati cumulativi invece che suddividerli correttamente anno per anno. È evidente che se si sommano i dati di venti anni di rilevazioni il numero dei malati conclamati e dei sieropositivi sembra essere sempre in costante aumento. Il secondo è quello di ampliare (arbitrariamente) di quando in quando il numero delle patologie che vengono correlate alla sindrome. Così dal 1° gennaio 1993 chi ha un numero di linfociti T inferiore a 200 (anche se perfettamente sano) viene incluso tra i malati di AIDS. Questo ha fatto sì che il numero di casi di AIDS negli Stati Uniti raddoppiasse artificiosamente nel giro di una notte. Il terzo trucco, il più puerile ma il più utilizzato, è quello di presentare le “stime degli esperti” al posto dei dati effettivamente riscontrati. Le stime, oltre ad essere assolutamente opinabili, sono sempre al servizio del terrorismo mediatico: secondo le stime che venivano presentate dieci anni fa (con previsioni di aumento esponenziale anno per anno) oggi la metà della popolazione italiana avrebbe dovuto essere sieropositiva! La realtà è molto diversa: nel 2004 i sieropositivi in totale sono circa 130.000, che rappresentano meno dello 0,003% della popolazione italiana, mentre i casi di Aids conclamato totali dal 1982 ad oggi sono stati complessivamente 53.686.16

LE STATISTICHE AFRICANE

Ma la situazione più inverosimile riguarda l’Africa ed il Terzo Mondo: da molti anni vengono diffuse cifre catastrofiche da parte dell’UNAIDS, l’organizzazione del WHO che si occupa di Aids, che dimostrerebbero una crescita impressionante dell’epidemia. Alla fine del 2004, nel documento denominato “AIDS Epidemic Update 2004” si è arrivati alla ragguardevole cifra di “39,4 milioni di persone che vivono con l’Hiv – ( ma che potrebbero variare da 35,9 milioni a 44,3 milioni – sic) con un numero di morti di pari 3,1 milioni (ma che potrebbe variare da 2,8 a 3,5 milioni – sic ). Quando si analizza con attenzione questo documento dell’UNAIDS ci si accorge che si tratta soltanto di “…stime basate sulle migliori informazioni ottenibili” (sic). Molte pagine del documento si diffondono su temi come la difesa delle donne dall’Aids (e perché non degli uomini?) o sulla presunta diffusione del morbo in Asia, ma nulla di più su come si arrivi a queste cifre. Null’altro viene detto sul metodo di indagine utilizzato per stabilire i dati (peraltro così incerti). Eppure si tratta del documento ufficiale della massima organizzazione mondiale sull’Aids e su di esso si basa tutta l’informazione che viene diffusa dai media. Nel 1998 la pluripremiata giornalista inglese Joan Shenton, realizzando vari programmi tv sul tema, aveva esaminato criticamente questo sistema di calcolo: “Nei primi anni ’90, il Programma Globale sull’AIDS del WHO (che più tardi venne sostituito dall’UNAIDS) dava impiego fino a 3.000 persone. Essi fornivano continuamente dati molto gonfiati alla stampa, e i rappresentanti ufficiali cominciarono a riportare questi casi stimati di Aids negli incontri pubblici per battere cassa coi finanziamenti, facendo sparire silenziosamente i dati realmente riportati. Mettemmo alla prova questi dati in un meeting alla London School of Hygiene and Tropical Medicine nel 1993, e ci fu una imbarazzata ammissione che quello che loro presentavano come dato di fatto, altro non era che un lavoro di supposizione” (…) “In altre parole, gli africani possono tranquillamente andare a dormire con la consapevolezza che i presunti milioni di conterranei, donne e bambini ammalati di Hiv-Aids sono semplici “calcoli” fatti da un “programma al microcomputer” che usa un “modello di database” preparato dallo screditato e ormai defunto Programma Globale sull’AIDS del WHO. Per fortuna la realtà sul territorio non conferma nemmeno lontanamente l’immagine dell’epidemia”17. Infatti il WHO, attraverso il W.E.R. Weekly Epidemilogical Report, un bollettino settimanale poco pubblicizzato, fino al 2002 diffondeva anche il numero dei casi effettivamente registrati. Così si può verificare che nel 1995, a fronte dei 4,5 milioni di sieropositivi stimati, quelli realmente accertati erano invece 422.735, meno del 10%! Mentre, ad esempio, i casi di AIDS effettivamente registrati in Africa nei dodici mesi dal 1999 al 2000 sono 81.565.18 Davvero poca cosa se si pensa che in Africa vivono 800 milioni di persone e ne muoiono più di 10 milioni all’anno, di cui un milione per malaria. Che abbia ragione il prof. Lugi De Marchi, psicologo clinico e sociale, quando afferma che queste stime vengano ottenute “con quel particolare metodo di calcolo chiamato dati in libertà“?19

Dal 2003 però il WHO diffonde solo le stime, senza fare più menzione dei casi realmente accertati. Viene il sospetto che la discrepanza tra casi veri e stimati sia talmente alta anche oggi che non sia più conveniente pubblicizzare i dati reali per chi ha fatto della lotta all’Aids il proprio business.

9. CATASTROFE AFRICANA?

L’ultimo dato sui casi realmente accertati di AIDS in Africa è stato diffuso dal WHO nel 2002: corrisponde a 1.111.663 casi totali cumulativi (dall’inizio dell’epidemia ad oggi).20 Ben lontana dalle stime fornite, questa cifra rappresenta comunque un numero consistente di esseri umani. Ci sarebbe da preoccuparsi, se non sapessimo come si arriva in realtà ad ottenere la cifra suddetta.

COME SI DIVENTA CASI DI AIDS IN AFRICA

Come già riferito, l’Aids in Africa non è quasi mai diagnosticata con il test dell’HIV (troppo costosi e non sempre disponibili) ma in base a sintomi clinici. È sufficiente che un paziente presenti tre principali sintomi clinici (perdita di peso, febbre e tosse) più un sintomo minore (anche un prurito generalizzato) per poterlo dichiarare affetto da AIDS. Questo in pratica significa che gli africani che soffrono di malattie da sempre presenti in quelle zone ora sono classificati come vittime dell’AIDS. Così in Africa le statistiche sull’Aids possono essere gonfiate artificiosamente da una definizione capace di raggruppare sotto il suo largo ombrello malattie antiche (come febbre, diarrea, tubercolosi o malaria) cambiandone il nome. Ma le cause di malattia in Africa continuano ad essere la crescente povertà, la malnutrizione, l’inquinamento dell’acqua, la mancanza di igiene. Nei paesi del Terzo mondo si continua, purtroppo, a morire per gli stessi tragici motivi per cui si muore da sempre. Soltanto che ora la maggior parte di questi decessi sono rubricati come AIDS. Per questi problemi storici non viene invocato nessun massiccio aiuto internazionale, preferendo spingere quei programmi “umanitari” che mirano ad assoggettare quante più persone possibile ai farmaci e ai test delle multinazionali occidentali.

IL RAPPORTO KRYNEN

Due leader d’un gigantesco programma francese di volontariato sull’AIDS, i coniugi Krynen, dopo cinque anni di permanenza nel presunto epicentro dell’epidemia africana con un’equipe di 150 medici e paramedici europei, hanno smontato totalmente i dati della finta epidemia: “In Africa, politici, operatori sanitari e utenti dei servizi hanno tutto l’interesse a gonfiare i dati della malattia per il semplice fatto che, per chi si occupa di Aids, sono disponibili enormi fondi internazionali”. E continuavano, con un pizzico di humor nero: “Se in Africa sei un semplice affamato, nessuno si occupa di te, ma se sei un malato di Aids 750 organizzazioni assistenziali occidentali e le Nazioni Unite sono pronte a coprirti di cibo e pacchi-dono (…) Il giorno in cui non ci sarà più l’Aids se ne andrà il benessere”21.

HARVEY BIALY

Il microbiologo Harvey Bialy ha trascorso otto anni nel continente africano per compiere ricerche scientifiche. In una intervista intitolata significativamente “L’epidemia di AIDS in Africa: un mito tragico” sostiene che non vi è assolutamente nessuna prova convincente che L’Africa si trova nel mezzo di una nuova epidemia di immunodeficienza infettiva, e che sono stai gli ingenti fondi internazionali disponibili per la ricerca AIDS/Hiv ad incentivare medici e politici a riclassificare come Aids malattie tradizionalmente presenti nel continente22.

ENORMI RISORSE A DISPOSIZIONE

Per lo studio e la prevenzione dell’AIDS in Africa sono già stanziate risorse enormi rispetto a quelle destinate ad altre malattie veramente pericolose, come la malaria, che nell’Africa sub-sahariana uccide più di un milione di persone all’anno. Il Governo dell’Uganda, che ha potuto investire nel 1993 solo 57.000 dollari nella prevenzione e nel trattamento della malaria, ha ricevuto invece ben 6 milioni di dollari per la lotta contro l’AIDS. Così la presunta “catastrofe” diventa il grande business del secolo ed oggi esistono migliaia di organizzazioni non governative che operano in Africa nel campo dell’Aids: soltanto in Uganda se ne contano più di 700.

MADRI AFRICANE SIEROPOSITIVE

I progetti più recenti delle numerose associazioni che prosperano con la lotta all’AIDS in Africa si stanno ponendo l’obiettivo di sottoporre al test Hiv quante più persone possibile. Ma, come già abbiamo avuto modo di chiarire, particolari malattie da sempre presenti nel continente africano possono causare frequentemente una falsa reazione di positività al test Hiv. E perfino la condizione di gravidanza è tra le prime cause (anche in occidente) di falsa positività. A cosa serva allora questo screening di massa, oltre che ad incrementare a dismisura gli introiti delle multinazionali farmaceutiche produttrici del kit, è difficile comprenderlo. Questo non ha scoraggiato le cosiddette “associazioni umanitarie” dall’utilizzare il terrorismo mediatico per reclamare fondi. Una recente, massiccia (e costosa) campagna pubblicitaria della italiana CESVI invitava a donare soldi affermando che “…in Africa una madre su tre è sieropositiva”.

IL CASO DEL PRESIDENTE SUDAFRICANO MBEKI

Nel 2000 cinque multinazionali farmaceutiche, sotto l’apparente veste di un progetto umanitario, proposero di abbassare i prezzi dell’AZT e di farmaci analoghi per utilizzarli massicciamente su donne incinte e neonati nei paesi del terzo mondo, per la cura e la profilassi della “infezione da HIV”. Nello stesso anno, alla vigilia del Congresso mondiale sull’AIDS, il presidente sudafricano Mbeki, preoccupato della manovra delle multinazionali, convocò una conferenza di specialisti internazionali per un dibattito aperto sugli effetti tossici dell’AZT e sulle alternative terapeutiche di trattamento dell’AIDS. Tanto bastò a scatenare nei giorni successivi il linciaggio da parte della stampa internazionale. Mbeki venne definito un “pazzo” e un “criminale”. Venne accusato di oscurantismo e superstizione e perfino di attentare alla vita delle popolazioni africane. The Observer, tra gli altri, arrivò a scrivere: “Mbeki lascia morire nel dolore i bambini malati di AIDS”. Eppure tra gli scienziati che aveva invitato alla conferenza c’erano premi Nobel, membri di Accademie delle Scienze, professori emeriti delle diverse discipline scientifiche. Quello che il presidente Mbeki proponeva era soltanto un libero dibattito, un confronto su dati reali, la verifica dell’efficacia di tali farmaci e sulla ben nota gravità degli effetti collaterali. Non accettando supinamente che la popolazione sudafricana venisse sottoposta a dei trattamenti di scarsissima efficacia e di altissima tossicità23, la sua colpa, in sostanza, era quella di aver sfidato il potere dell’uomo bianco e di non essersi piegato agli interessi delle multinazionali farmaceutiche. Per pagare queste cosiddette “cure e profilassi” si prospettava tra l’altro un indebitamento del Sudafrica di un miliardo di dollari verso la Banca Mondiale. La conferenza fu, come temuto dagli “ortodossi”, un momento di reale informazione, che permise a tutti gli scienziati dissidenti di esporre le loro tesi e mettere in grave crisi il dogma Hiv-Aids. E di fermare l’utilizzo dell’AZT nei paesi africani. Ma ancora oggi, nonostante le sue resistenze si siano rivelate oltremodo sagge e ragionevoli, il linciaggio mediatico nei confronti di Mbeki continua.

10. TERAPIE CHE UCCIDONO

Grazie al terrore creato intorno alla malattia sin dal suo apparire, è stato possibile far accettare la somministrazione di farmaci altamente tossici, che hanno portato benefici solo alle multinazionali che li producono. Nessuno dei sieropositivi rimasti sani per molti anni ha assunto questi farmaci (se non per sospenderli presto), mentre chi li ha presi per lunghi periodi sta male o è morto. Il famoso cestista Magic Johnson, e molti altri come lui che hanno rifiutato di curarsi con l’AZT e i farmaci retrovirali, sta benone, nonostante sia stato dato per spacciato vari anni fa.

L’AZT

Sintetizzato sin dal 1964 come farmaco antitumorale, l’AZT rimase accantonato per 20 anni poiché si constatò sperimentalmente che le cavie leucemiche trattate morivano in numero maggiore di quelle non trattate. Data la sua elevatissima tossicità è impiegato come base per il veleno per topi! Ma nel 1984 la Wellcome, società che lo produce, lo tirò fuori di nuovo e, grazie al terrore ormai dilagante, riuscì a farlo approvare in gran fretta come farmaco anti-HIV. Molti scienziati del gruppo dei “dissidenti” sin dall’inizio della “epidemia” hanno lanciato l’allarme contro il suo uso, che è molto più pericoloso della sindrome stessa. Ben sei studi indipendenti hanno provato una tossicità del farmaco 1000 volte superiore a quella dichiarata dalla Wellcome. Il più grande studio mai effettuato sul farmaco, per numero di pazienti e durata, fu il “Concorde Trial”, i cui risultati nel 1994 dimostrarono inequivocabilmente che tra i pazienti trattati non si verificava nessun beneficio, ed anzi si constatava un numero maggiore di decessi rispetto ai pazienti non trattati.24 Tra le conseguenza della somministrazione di AZT ci sono: distruzione del sistema immunitario, distruzione del midollo osseo, distruzione dei tessuti e della flora batterica intestinale, linfoma, atrofia dei muscoli, danni al fegato, al pancreas, alla pelle e al sistema nervoso. Se una persona sana venisse sottoposta ad un trattamento continuativo con AZT in pochi mesi subirebbe effetti devastanti, simili a quelli dell’AIDS conclamato, fino ad arrivare ad un tasso di mortalità prossimo al 100%. Eppure, grazie alla strategia del terrore, questo farmaco così tossico, cancerogeno e privo di effetti benefici continua ad essere somministrato. Così la Wellcome (casa farmaceutica produttrice) ne ha venduto 0.9 tonnellate nel 1987, è passata a 44.7 tonnellate nel 1992, ed il suo profitto lordo cresce in maniera esponenziale di anno in anno.

GLI INIBITORI DELLA PROTEASI

Definiti miracolosi dai media, in realtà i benefici clinici di questi farmaci non sono a tutt’oggi ancora stati provati. Mentre la lista degli effetti collaterali aumenta progressivamente, insieme al numero di insuccessi – che vanno dalle deformità fisiche alle morti improvvise – testimoniando una realtà completamente diversa. E lo stesso scienziato che li ha ideati, il dott. David Rasnik, sostiene che ci sono forti dubbi sull’efficacia clinica di tali farmaci25.

IL COCKTAIL HAART

Per evitare questi effetti devastanti, in tempi più recenti si è suggerito di utilizzare l’azione combinata di più farmaci a dosaggi più bassi (il cocktail HAART). Questo ha portato ad ampliare in maniera considerevole il numero dei pazienti, o dei cosiddetti “malati asintomatici” che possono essere a lungo sottoposti a tali “terapie”. Con vantaggi evidenti per le case farmaceutiche che invece di farsi concorrenza possono spartirsi una torta ancora più grande, coinvolgendo nella cura anche persone che stanno benissimo.

11. IL BAVAGLIO ALL’INFORMAZIONE

Tutte queste cose, benché sconosciute al grande pubblico, sono ben note nell’ambito degli addetti ai lavori. Ma una cortina di ferro è stata messa a protezione del castello per non farle conoscere alle masse, che devono continuare ad essere indottrinate verso il dogma ufficiale. Così, quei pochi e valorosi giornalisti che hanno provato a dare voce agli scienziati del dissenso ben presto hanno dovuto fare i conti con una censura feroce, che ha pochi eguali nel mondo contemporaneo. Celia Faber, giornalista statunitense, è stata tra le prime ad affrontare l’AIDS dal punto di vista “eretico”. In un’intervista a Massimiano Bucchi ha dichiarato di avere incontrato “…difficoltà pazzesche. (…) hanno cercato di farmi fuori in tutti i modi. La mia carriera giornalistica è stata duramente segnata da questa storia. Ho avuto minacce da Act Up 26 , ci sono stati articoli terribilmente offensivi nei miei confronti da parte del “Native” 27 . Fin dall’inizio i boss dei NIH28 mi hanno detto chiaramente che mi avrebbero impedito di intervistare i loro ricercatori per via di quello che avevo scritto”29. Neville Hodgkinson è giornalista del Times ed esperto scientifico del Sunday Times. Dopo i primi articoli in cui fu sostenitore della teoria dominante, enfatizzando i rischi della diffusione del virus, si rese conto che le statistiche reali mostravano “…che non c’era traccia dell’esplosione dell’Aids che era stata annunciata”. Così cominciò a considerare il punto di vista di Duesberg e dei vari dissidenti. Scrisse un lungo articolo che riportava le ipotesi di questo gruppo di scienziati: ” riuscimmo ad inserire un richiamo in prima pagina e di nuovo le reazioni furono isteriche (…) nessun argomento scientifico, solo cose del tipo «perché infastidite i vostri lettori con teorie non dimostrate quando c’è una grande emergenza in corso per la salute pubblica» – ma nulla che rispondesse alle osservazioni dettagliate che Duesberg e gli altri facevano”. Sulla base delle successive esperienze di censura e attacchi personali oggi Hodgkinson dichiara: ” Non credevo che si potesse essere così odiati solo per aver scritto delle cose o aver riportato le opinioni di scienziati che fino al giorno prima tutti ritenevano dei luminari. (…) Ad un convegno dove la mia casa editrice aveva chiesto l’autorizzazione per presentare il libro, uno scienziato si è fermato al nostro tavolo e ha detto ad un collega che lo accompagnava « se vedi in giro copie di questo libro in libreria o altrove, prendilo in mano e sputaci dentro in modo che nessun altro possa acquistarlo o leggerlo ». Non pensavo che degli scienziati, delle persone che dovrebbero essere aperte al confronto e alla libera espressione, potessero arrivare a tanto”.30

John Maddox, direttore di “Nature”, rivista scientifica custode dell’ortodossia, nel 1991 fece intravedere piccoli spiragli di apertura verso il gruppo dei dissidenti riunito sotto l’etichetta “Rethinking Aids”, pubblicando un articolo intitolato “La ricerca sull’aids messa sottosopra”31, in cui si facevano piccole concessioni alle ragioni degli “eretici”. Le reazioni degli scienziati ortodossi furono durissime, e benché nessuno portasse argomenti scientifici ma solo i consueti anatemi terroristici e invettive personali, Maddox si trovò costretto, nei mesi successivi, a rimangiarsi tutto, fino ad affermare che non bisognava più dare spazio alle opinioni di Duesberg (principale esponente del gruppo “Rethinking Aids”). Sulla questione due sedicenti scienziati italiani scrissero un articolo sulla stessa rivista sostenendo che: “…dovrebbe essergli impedito di parlare in televisione. Sì, una linea auspicabile sarebbe quella di impedire i confronti televisivi con Duesberg” .32

Da quel momento è scattata la censura sulle riviste scientifiche per ogni punto di vista alternativo (pur se documentatissimo e difficilmente confutabile). Semplicemente ogni ipotesi alternativa non doveva esistere. Oggi, anche se le previsioni dei dissidenti sono sempre più confermate, quasi tutta la stampa sembra essere allineata al dogma dominante. Ai pochi giornali e giornalisti che accettano le teorie alternative sull’Aids, l’unica possibilità rimasta è quella del silenzio, e non fungere da cassa di risonanza per le ormai screditate tesi dell’establishment medico dominante.

12. IL GRANDE AFFARE DELLA CATTIVA SCIENZA

La vicenda dell’AIDS è davvero speciale perché mai nella storia della medicina così tanto denaro è stato riversato su una singola malattia. Di anno in anno le somme raccolte per la lotta all’AIDS si moltiplicano, fino ad arrivare alla cifra di 6,1 miliardi di dollari solo nel 2004. 33 34.
Con 100 miliardi di dollari già spesi nei soli Stati Uniti, è la più grossa impresa industriale, vicina a quella del dipartimento della Difesa. La vendita dei test HIV è diventata una fonte di immensi guadagni. Molti scienziati coinvolti nella ricerca sull’AIDS possiedono società che vendono test e hanno milioni di dollari in partecipazioni societarie. L’AIDS per questi individui è un affare estremamente remunerativo. I ricercatori e i medici che hanno carriere e stipendi legati al virus sono circa 100.000, in buona parte americani. I bilanci delle multinazionali del farmaco si accrescono di alcuni miliardi di dollari all’anno con la vendita dei farmaci antiretrovirali e dei test HIV. Organismi come USAID (U.S. Agency International Development), UNAIDS (United Nations AIDS program), WHO, ricevono stanziamenti annuali di centinaia e centinaia di milioni di dollari per combattere l’AIDS. Più di 1000 organizzazioni umanitarie raccolgono in totale centinaia di milioni di dollari all’anno per aiutare i malati di AIDS. Il problema non è quindi la crescita dell’AIDS, ma, per quanto paradossale e grottesco possa apparire, l’esatto contrario, la sua eventuale scomparsa. Sono ormai così imponenti gli interessi economici politici e burocratici legati al virus HIV che la sua morte prematura potrebbe sconvolgere parecchi equilibri. Così è una tragica ironia che proprio David Rasnik, scienziato che ha ideato gli inibitori della proteasi usati per la cura dell’AIDS, abbia dichiarato nel 1997: “Come scienziato che ha studiato l’AIDS per 16 anni, ho stabilito che l’AIDS ha poco a che fare con la scienza e che, fondamentalmente, non è nemmeno una questione medica. L’AIDS è un fenomeno sociologico tenuto in vita dalla paura, creato da una sorta di “maccartismo medico” che ha violato e mandato in rovina tutte le regole della scienza e che ha imposto a quella fascia di pubblico più vulnerabile una miscela di credenze e pseudoscienza” E la giornalista Joan Shenton ne ha spiegato i motivi : ” Quello che ho imparato in questi anni è che la comunità scientifica non è più libera. Oggi la scienza può essere comprata e le voci individuali di dissenso facilmente ridotte al silenzio a causa delle enormi somme di denaro convogliate nel proteggere l’ipotesi prevalente, per quanto sbagliata possa essere. La politica, il potere e il denaro dominano il campo della ricerca scientifica cosi estesamente che non è più possibile sottoporre a verifica una ipotesi divenuta dogma.” Su questo aspetto della cattiva scienza dell’AIDS malata di denaro, ci piace chiudere col sarcastico commento del premio Nobel Kary Mullis : “Un altro segmento della nostra società così pluralista – chiamiamoli medici/scienziati reduci dalla guerra perduta contro il cancro, o semplicemente sciacalli professionisti – ha scoperto che funzionava. Funzionava per loro. Stanno ancora pagandosi le loro BMW nuove con i nostri soldi”

 


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L’Autore desidera ringraziare tutti i ricercatori che hanno messo a disposizione il frutto del loro lavoro, (in particolar modo il virologo triestino Fabio Franchi) e che spesso hanno visto le loro carriere troncate dalle loro affermazioni.

COPYRIGHT – Il presente scritto è riproducibile in rete, in tutto o in parte, purchè non venga modificato e ne vengano sempre citati la fonte e l’Autore.

RIFERIMENTI

1 Intervista a Luca Rossi in “Sex Virus” – Feltrinelli

2 cfr. tra gli altri : T. McKeown – The Role of Medicine. Dream, mirage or nemesis? 1976,

T. P. Magill -The immunologist and the evil spirits – 1955 Journal of Immunology,

3 riportato in “Inventing the Aids Virus” Peter Dueberg – 1996

4 E. Papadopulos- Eleopulos et al. “Has Gallo proven the role of HIV in AIDS?” 1993

5 Cfr. “Ballando nudi nel campo della mente” di K.B. Mullis – Baldini e Castoldi, 2000.

6 “Rebuttal to the NIAID/NIH document” – Robert Johnston – co-fondatore di HEAL – Toronto; Mattew Irvin – co-fondatore di HEAL – Washington DC; David Crowe – presidente di Alberta Reappraising Aids Society

7 F. Franchi, “Alla ricerca del virus HIV”, in Leadership Medica – 1997

8 Intervista a Stephen Lanka, di M. G. Conlan in Zengers Magazine – San Diego – October 1998

9 “Does HIV cause Aids? The Duesberg critique” – K.L. Billingsley, in Heterodoxy, febb. 1993

10 ” Centers for Disease Control” Centri per il controllo delle malattie

11 F. Franchi, L. De Marchi “AIDS, la grande truffa” – ed. Seam 1996

12 “Inventing the AIDS virus”, P. Duesberg – 1996

13 World Health Organization – Organizzazione Mondiale della Sanità

14 Padian et al. – 1997

15 “AIDS, la grande truffa”, cit.

16 Aggiornamento 2004; Commissione Nazionale per la Lotta contro l’AIDS – Ministero della Salute

17 “Are 26 million Africans dying of AIDS?” – Joan Shenton 1998

18 W.E.R. n. 47 -26 november 1999, e W.E.R. n. 47 – 24 november 2000

19 F. Franchi, L. De Marchi “AIDS, la grande truffa” – ed. Seam 1996

20 – W.H.O. Weekly Epidemiological Report – n. 49, 6 dicembre 2002

21 riportato in “AIDS, la grande truffa”, cit.

22 “How Africa became the victim of a non-existent epidemic of Hiv/Aids” – intervista di N. Hodgkinson

23 che proprio per questo motivo in Occidente stanno per essere accantonati

24 Concorde Coordinating Comittee, in Lancet, n. 343, 1994

25 Physician Desk Reference, 1994

26 Organizzazione gay negli U.S.A.

27 Giornale gay di New York

28 National Instutute of Healt

29 M. Bucchi – La scienza imbavagliata – ed. Limina 1998

30 riportato in “La scienza imbavagliata”, cit.

31 in “Nature”, 353, 1991

32 L. Checo Bianchi e G.B. Rossi in Nature, 362, 1993

33 dato fornito dal WHO, in ” AIDS Epidemic Update 2004″

34 Kary Mullis, “Il caso non è chiuso” – in “Ballando nudi nel campo della mente”, cit.


Teorie alternative sull’AIDS – bibiliografia ragionata

o INVENTING THE AIDS VIRUS (AIDS il virus inventato) Peter H. Duesberg – Ed. Baldini & Castaldi

Peter Duesberg è docente di biologia molecolare e cellulare presso la University of California a Berkeley, oltre ad essere un pioniere nella ricerca dei retrovirus e il primo scienziato ad aver isolato un gene del cancro. Gli ingenti finanziamenti di cui disponeva come ricercatore di fama mondiale gli sono stati drasticamente ridotti quando ha cominciato a mettere in dubbio il dogma Hiv-Aids e la teoria della trasmissione sessuale del morbo. Nonostante le sue previsioni trovino sempre più conferme a livello epidemiologico, è stato emarginato da una comunità scientifica che ha tutto l’interesse a perseguire una strada ricchissima di finanziamenti. Le sue tesi non sono ancora state confutate, mentre alle sue domande ed obiezioni si è risposto che: “…dovrebbe essergli impedito di parlare in televisione. Sì, una linea auspicabile sarebbe quella di impedire i confronti televisivi con Duesberg” (Nature, 1993)

o AIDS: e se fosse tutto sbagliato? Christine Maggiore – MACRO edizioni

Christine Maggiore ha pensato che la sua vita fosse finita quando risultò sieropositiva al test dell’HIV. Ha scritto questo libro per ridare speranza ad altri sieropositivi e spiegare tutte le mistificazioni connesse all’Aids, prima tra tutte quella che definisce la sieropositività come primo stadio di una malattia mortale. Indagando in maniera sistematica ha inoltre scoperto la grande inaffidabilità dei test hiv. Si è rifiutata di curarsi con i metodi ufficiali, preferendo una visione alternativa ed olistica. Oggi, a distanza di molti anni, è perfettamente sana e ha un figlio altrettanto sano.

o La rivoluzione silenziosa della medicina del cancro e dell’AIDS Heinrich Kremer – Macro Edizioni

Con questo libro il dott. Kremer, medico di fama internazionale, propone la sua tesi sull’HIV, e lo fa in modo scientificamente verificabile. Egli ritiene sbagliata l’opinione “scientifica” secondo la quale un virus misterioso, fino ad ora non isolato da nessuno, causa la malattia denominata AIDS, e in questo suo lavoro dimostra la inaffidabilità di queste tesi.

o BALLANDO NUDI NEL CAMPO DELLA MENTE Kary Mullis, – 2000, Baldini & Castoldi

Uno scienziato geniale quanto atipico: il Nobel, conquistato in età relativamente giovane, gli ha consentito di dedicarsi con maggiore assiduità al suo hobby preferito, il surf tra le onde dell’oceano. Tra i vari capitoli del suo libro c’è l’appassionata difesa di Peter Duesberg nella lotta contro l’establishment dell’Aids.

o LA SCIENZA IMBAVAGLIATA Eresia e censura nel caso AIDS Massimiano Bucchi – Edizioni Limina

Cosa è successo a tutti quegli scienziati (tra cui alcuni premi Nobel, grandi virologi internazionali, ricercatori di fama mondiale) che hanno provato a dissentire sull’ipotesi dominante nel campo dell’aids? In questo scorrevole pamphlet Bucchi ci racconta come chiunque abbia dissentito, sottolineato contraddizioni e palesi falsità, sia stato messo all’indice, privato della parola, licenziato, emarginato, ricorrendo spesso all’insulto personale, alle minacce, all’isteria. E come i media abbiano ampiamente avallato questo sistema di censura della verità.

Fonte: http://pensierolaterale.blog.com
Link: http://pensierolaterale.blog.com/Aids/

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"Pubblicare serve per vincere i concorsi? Un’analisi sui concorsi a cattedra degli economisti agrari" (di Alessandro Corsi, da Agriregionieuropa, rivista online)

Ho ritenuto opportuno dare una diffusione maggiore a questo articolo per stimolare la riflessione, profonda, sui meccanismi accademici per fare (o “far fare”) carriera. Non commento, anzi lascio a ciascuno la “libera” riflessione (almeno quello!)

Concorsi e carriere nell’Università

Nel mese di aprile del 2006 è stato emanato un decreto legislativo che riordina il reclutamento dei professori universitari, cambiando il sistema vigente dal 1999. Si torna a concorsi nazionali, con un numero di idonei superiore a quello dei posti a concorso; vengono elette per raggruppamento disciplinare liste di 15 commissari, fra i quali vengono estratte a sorte le commissioni di 5 membri. Servirà allo scopo di migliorare il reclutamento e i meccanismi di carriera, che sono sotto accusa, con molteplici denunce sui giornali di casi discutibili, ed anche numerosi concorsi sotto inchiesta della magistratura?
Innanzitutto, a cosa servono i concorsi universitari? C’è uno scopo ovvio, quello di reclutare le persone che devono insegnare e fare ricerca. Ma ce n’è un secondo, meno evidente a prima vista: fornire incentivi ai professori e ai ricercatori. Nell’Università non c’è una struttura gerarchica di gestione del personale docente, né potrebbe esserci, perché farebbe venir meno quel principio della libertà di ricerca che costituisce un meccanismo prezioso per favorire le nuove scoperte e l’esplorazione di campi nuovi (la didattica è un discorso diverso: fatta salva la libertà sui contenuti dell’insegnamento, non ci sarebbero controindicazioni a sottoporre i docenti ad una “disciplina” che li spinga a fornire un buon servizio agli studenti). Né ci sono incentivi monetari alla ricerca (almeno in Italia): gli stipendi sono basati sull’anzianità nel ruolo, non sulla qualità del lavoro svolto.
Ne segue che l’avanzamento nella carriera, da ricercatore a professore associato e poi a professore ordinario, è l’unico meccanismo incentivante presente nell’Università italiana, non solo in termini di stipendio, ma anche di prestigio. Diventa quindi decisiva la gestione dei concorsi, cioè la definizione dei requisiti necessari per superarli. Poiché le commissioni di concorso sono elette dai docenti delle discipline, è all’interno di queste che si formano, nei fatti, i criteri di valutazione

Il valore delle pubblicazioni

La legge, sia quella precedente che quella attuale, fissa i criteri di valutazione in termini generali: fra questi, l’originalità della produzione scientifica e la rilevanza scientifica della collocazione editoriale delle pubblicazioni e la loro diffusione all’interno della comunità scientifica. La norma relativa alla collocazione editoriale delle pubblicazioni corrisponde ad un criterio largamente accettato nel mondo scientifico a livello internazionale: una pubblicazione “vale” tanto di più quanto più è prestigiosa la rivista dove è pubblicata.
La ragione è da ricercare in un meccanismo di domanda e offerta che si autoalimenta: le riviste scientifiche domandano articoli; i ricercatori offrono articoli nei quali presentano la propria produzione scientifica. Tutte le riviste devono “riempire” i numeri con un certo numero di articoli. Le più prestigiose ricevono proposte per un maggior numero di articoli fra i quali possono attingere, pubblicando i migliori, scelti attraverso una selezione accuratissima fra quelli proposti. Questo determina un maggiore prestigio, che alimenta a sua volta una maggiore offerta da parte dei ricercatori alle riviste più prestigiose.
Questo meccanismo spiega anche perché le riviste internazionali siano in generale ritenute di maggior prestigio di quelle nazionali: c’è una maggior offerta di articoli in inglese che in italiano, e quindi una maggior possibilità di selezione degli articoli ricevuti da parte di quelle internazionali. La valutazione degli articoli da parte delle riviste scientifiche avviene generalmente con il sistema della revisione anonima (blind review): l’articolo ricevuto da una rivista viene inviato a due-tre revisori anonimi, che lo valutano e ne consigliano al direttore l’accettazione o meno, suggeriscono modifiche o richiedono chiarimenti. I revisori sono scelti dal direttore fra esperti dell’argomento. Il fatto che i revisori non conoscano l’autore dell’articolo e che questo non conosca i revisori tende a evitare conflitti di interessi (un revisore che boccia un articolo di un rivale accademico, un autore che si “vendica” di una revisione negativa). Anche la scelta dei revisori contribuisce alla qualità delle riviste e, di nuovo, l’ampiezza delle possibilità di scelta è maggiore per le riviste internazionali.
Con il tempo, in molti campi scientifici si sono adottate delle procedure per “quantificare” l’importanza delle riviste scientifiche e quindi, indirettamente, il valore degli articoli pubblicati. Il più diffuso è quello dell’impact factor (IF), sviluppato dall’ISI (Institute for Scientific Information [link]), che rapporta il numero di citazioni ricevute dagli articoli pubblicati su una rivista con il numero di articoli pubblicati sulla stessa. In questo caso, il principio è che una rivista o un articolo molto citati su altre riviste o nei libri, sono da considerare importanti per la disciplina e per il suo sviluppo (1). Al di là dello strumento specifico di misurazione, è comunque il principio che conta, cioè la capacità di articoli e libri di incidere sulla discussione scientifica e sull’avanzamento della disciplina.

I dati sulle pubblicazioni degli economisti agrari italiani

Come si diceva, ogni disciplina interpreta questi principi e quindi, implicitamente, definisce gli incentivi al suo interno, stabilendo quali siano le caratteristiche desiderabili, cioè quelle che fanno “far carriera”. Ci proponiamo qui allora di esaminare quali sono i requisiti che emergono per il gruppo degli economisti agrari italiani, attraverso l’esame dei concorsi di prima fascia (professori ordinari), cioè il gradino massimo della carriera universitaria.
Dal 1999 (istituzione delle norme sui concorsi con commissioni locali) ad oggi si sono conclusi 31 concorsi per professori di prima fascia del gruppo AGR/01 (Economia e estimo rurale) al quale appartengono gli economisti agrari.
Ogni concorso, che si svolgeva su base locale con un commissario designato dalla sede e quattro eletti a livello nazionale, si concludeva con la proclamazione di idonei (tre nei primi concorsi, due successivamente e, più recentemente, uno); i vincitori complessivamente sono stati 76 (si veda il sito relativo del Ministero: [link]), un numero sufficiente perché i risultati di un’analisi abbiano validità statistica. Per 8 concorsi, il verbale non è più o non è mai stato disponibile su Internet, e quindi sono noti solo i nomi dei vincitori, ma non degli altri concorrenti.
L’analisi che segue è basata sulla produzione scientifica rilevabile pubblicamente, o dalle principali riviste scientifiche italiane del settore, o da banche dati bibliografiche. Poiché non si disponeva, salvo in alcuni casi, dei dati sulle caratteristiche personali dei candidati, quali anzianità in ruolo, dottorati, ecc., non si è potuto condurre un’analisi più approfondita, come quella condotta da Checchi (1999) e Perotti (2002); l’analisi non è stata neppure condotta a partire dalle pubblicazioni che hanno un impact factor, perché il numero di economisti agrari con pubblicazioni di questo tipo è molto basso. Attualmente, infatti, solo il 13,5% dei professori ordinari italiani ha almeno una pubblicazione con IF (un dato di per sé comunque non particolarmente confortante), e le comparazioni avrebbero quindi scarso significato.
Sono state presi in considerazione 3 dati:

  1. Econlit. Il primo dato riguarda il numero di pubblicazioni registrate su Econlit [link], che è la più importante base dati bibliografica internazionale riguardante l’economia. Non è specializzata in economia agraria ed ha una prevalenza di letteratura anglosassone, anche se volumi e riviste italiane sono presenti (recentemente, anche la Rivista di Economia Agraria). Sono registrati sia articoli su riviste, sia volumi o articoli contenuti in volumi; non tutte le pubblicazioni elencate sono sottoposte a revisione anonima. La copertura temporale è a partire dal 1969. Per ogni economista agrario vincitore o partecipante ai concorsi da professore ordinario sono state conteggiate tutte le pubblicazioni fino all’anno di concorso incluso (il che può portare ad una sovrastima del numero di pubblicazioni al momento del concorso, dato che spesso gli articoli vengono pubblicati con ritardo rispetto all’anno indicato).
  2. Rea_Rpa_Qa. Poiché è stato spesso obiettato che le banche dati ISI o Econlit soffrono di una “distorsione anglosassone” e non rispecchiano l’attività di ricerca su base nazionale e locale, il secondo indicatore è costituito dal numero di pubblicazioni su riviste scientifiche italiane del settore. Sono state considerate le tre principali riviste scientifiche italiane, che utilizzano tutte il sistema dei revisori anonimi: Rivista di Economia Agraria, Rivista di Politica Agraria (ora Politica Agricola Internazionale), QA-Questione Agraria. In questo caso la copertura è a partire dal 1981 compreso, fino all’anno di concorso incluso; non sono state tuttavia incluse le recensioni e i rapporti su conferenze e in gruppi di studio, le prime peraltro escluse anche dalla banca dati Econlit.
  3. CABI. Il terzo dato consiste nel numero di pubblicazioni registrate su CABI, che è una delle più importanti banche dati bibliografiche riguardanti l’agricoltura, e ha una sezione “Agricultural economics and rural sociology” nella quale, in particolare, è stata condotta la ricerca. CABI ha una copertura molto più vasta del settore economico-agrario rispetto ad Econlit, anche dal punto di vista geografico, e include in campo italiano, oltre alle riviste scientifiche prima menzionate, anche pubblicazioni su riviste divulgative, quali Terra e Vita, Informatore Agrario, e simili, riviste che non prevedono, di norma, revisori anonimi. In questo senso, la presenza su CABI è un criterio meno selettivo di quello della presenza fra gli altri due tipi di pubblicazioni. La copertura è a partire dal 1973; anche in questo caso sono state conteggiate tutte le pubblicazioni fino all’anno di concorso incluso.

Serve aver pubblicato per “fare carriera”?

Una prima analisi riguarda tutti i 31 concorsi svolti, sulla base della produzione scientifica dei 76 vincitori rilevabile pubblicamente, cioè sulla scorta dei tre dati sopra menzionati. Questa analisi cerca di rispondere alle domande: quali sono le caratteristiche della produzione scientifica dei vincitori? Quali sono i “requisiti minimi” per poter vincere un concorso da ordinario in economia agraria?
Il numero medio di pubblicazioni dei vincitori è il seguente: Econlit: 1,1; Rea_Rpa_Qa: 2,7; CABI: 6,7.
Oltre al dato medio, risulta però rilevante anche la distribuzione di frequenza dei vincitori per numero di pubblicazioni, riportato nella tabella 1. Da essa risultano alcuni elementi:

  • la forte disomogeneità di produzione scientifica (così come misurata) tra i vincitori: per Econlit si va da nessuna a 11 pubblicazioni; per CABI da nessuna a 27; per Rea_Rpa_Qa da nessuna a 18;
  • la presenza di una forte percentuale di vincitori con nessuna pubblicazione rilevata nelle banche dati considerate: il 56,6% dei vincitori non ha pubblicazioni in Econlit, il 17,1% non ne ha in Rea_Rpa_Qa, ed il 2,6% non ne ha in CABI;
  • la forte concentrazione della distribuzione nelle classi più basse. Ad esempio, 40 dei 76 vincitori avevano 5 pubblicazioni CABI o meno; 16 vincitori non avevano nessuna pubblicazione sulle principali riviste scientifiche italiane, ed altri 21 ne avevano solo una. Sei vincitori non avevano nessuna pubblicazione né in Econlit né sulle riviste scientifiche italiane e solo una in CABI;
  • i picchi (ovvero la moda) delle distribuzioni sono pari a 1 per CABI e Rea_Rpa_Qa, a 0 per Econlit.

Tabella 1 – Numero di pubblicazioni dei vincitori di concorsi di 1° fascia 1999-2006

Si possono trarre a questo punto alcune conclusioni:

  • il numero medio di pubblicazioni dei vincitori è piuttosto basso;
  • le caratteristiche dei vincitori in termini di pubblicazioni sono fortemente eterogenee, cioè si può vincere sia con molte pubblicazioni sia con poche;
  • non sembra esistere una “soglia minima” di pubblicazioni per avere successo nei concorsi o, per meglio dire, questa soglia è su livelli molto bassi (soprattutto tenendo conto che si tratta di concorsi da professore ordinario).
  • se ne deduce quindi che l’andamento dei concorsi non può costituire un incentivo a pubblicare molto e su riviste qualificate, soprattutto perché non esiste un “livello minimo” indispensabile per superare il concorso.

Meglio i vincitori o i perdenti?

Ci si può chiedere a questo punto se “pubblicare tanto e bene”, pur non essendo una condizione necessaria per vincere un concorso, sia almeno una condizione sufficiente: cioè se chi pubblica di più e su riviste più qualificate riesca comunque a vincere. Per rispondere a questo tipo di domanda occorre condurre una analisi di tipo comparativo, fra i vincitori e gli altri concorrenti. Questa si può effettuare solo sui concorsi di cui sono disponibili i verbali (23 concorsi, per 56 vincitori), dato che per gli altri non sono noti tutti i concorrenti.
Da questa analisi risulta che:

  • il 74,1% dei vincitori è risultato tale in concorsi in cui almeno un concorrente perdente (cioè, non risultato idoneo) aveva più pubblicazioni Econlit;
  • l’85,2% dei vincitori è risultato tale in concorsi in cui almeno un concorrente perdente aveva più pubblicazioni CABI;
  • il 90,7% dei vincitori è risultato tale in concorsi in cui almeno un concorrente perdente aveva più pubblicazioni scientifiche italiane; – l’85,2% dei vincitori è risultato tale in concorsi in cui almeno un concorrente perdente aveva un numero almeno doppio di pubblicazioni scientifiche italiane.

Ovviamente, non necessariamente queste condizioni si verificavano congiuntamente, per cui ci sono vincitori che, pur avendo meno pubblicazioni in una categoria, ne avevano di più in un’altra. Tuttavia per 42 vincitori (75%) esistevano altri concorrenti perdenti con un maggior numero di pubblicazioni di tutti i tre tipi. In 12 concorsi (52,2%), per un totale di 29 vincitori (51,8%), nessuno dei vincitori aveva più pubblicazioni di tutti i tre tipi, rispetto ad altri concorrenti perdenti. In media, ogni vincitore aveva:

  • 3,0 concorrenti perdenti con un maggior numero di pubblicazioni Econlit;
  • 4,3 concorrenti perdenti con un maggior numero di pubblicazioni CABI;
  • 4,8 concorrenti perdenti con un maggior numero di pubblicazioni Rea_Rpa_Qa;
  • 4,2 concorrenti perdenti con un numero almeno doppio di pubblicazioni Rea_Rpa_Qa.

Si tenga conto che, in media, per ogni concorso vi erano 8,7 concorrenti.
Un’analisi statistica più elaborata, attraverso un modello probit (2), mostra che né le pubblicazioni Econlit né quelle CABI hanno un effetto statisticamente significativo sulla probabilità di successo ai concorsi; viceversa, le pubblicazioni scientifiche italiane hanno sì un effetto statisticamente significativo, ma paradossalmente negativo: per ogni pubblicazione in più di questo tipo, un concorrente medio avrebbe il 5,5% di probabilità in meno di risultare idoneo.
Anche questa analisi porta quindi ad una conclusione non confortante, vale a dire che “pubblicare tanto e bene” non basta, anzi addirittura sembrerebbe nuocere, per vincere i concorsi da professore ordinario.

Come incentivare la ricerca scientifica

Più che analizzare le circostanze che hanno portato a questo risultato, occorre discutere quali sono i possibili rimedi (sempre che si condivida l’obiettivo generale che i ricercatori italiani in economia agraria pubblichino il più possibile su riviste scientifiche di prestigio, e che la loro produzione scientifica si diffonda nel mondo scientifico nazionale e internazionale).
Il primo riguarda l’università italiana in generale, ed è l’introduzione di meccanismi di incentivazione della produzione scientifica. Fino a non molto tempo fa, la produzione scientifica non era soggetta di fatto a nessun controllo, ed era affidata alla buona volontà dei singoli. Solo da pochi anni sono stati messi in atto meccanismi di valutazione delle Università, e una parte (in verità piccola) dei fondi che queste ricevono dal Ministero dell’Università e della Ricerca dipende anche dalla loro produzione scientifica. Se questo meccanismo si propagherà verso “il basso” fino a far dipendere anche una parte dei finanziamenti alle Facoltà e ai Dipartimenti dalla valutazione della produzione scientifica, si creerà un forte incentivo a reclutare e a far avanzare di carriera persone con una buona produzione scientifica; l’interesse delle singole sedi si sposterà dalla “protezione” dei propri candidati alla formazione di candidati in grado di “portare finanziamento” alla sede.
Il secondo rimedio è l’autodisciplina di gruppo: la capacità cioè della comunità accademica di accettare e mettere in atto regole di reclutamento generali e condivise che premino i comportamenti virtuosi, per evitare che la ricerca di vantaggi individuali dei singoli danneggi la reputazione del gruppo. Sotto questo aspetto, è positivo che la Società Italiana di Economia Agraria (SIDEA) abbia recentemente istituito un gruppo di lavoro sulla valutazione e il reclutamento, col compito di elaborare regole comuni in questo campo. Occorre però notare che già nel 1998 la SIDEA aveva proposto “requisiti minimi” dei candidati per accedere ai diversi livelli di carriera (3); ma le commissioni non sono obbligate a seguirle, e in effetti, nei concorsi analizzati, solo in rari casi venivano rispettati (4).
Occorre quindi che le regole scelte collettivamente siano rafforzate attraverso meccanismi di trasparenza: ad esempio, chi si candida a commissario può dichiarare il suo impegno a seguire queste regole; i verbali dei concorsi possono essere pubblicati su un sito web; i candidati ai concorsi possono pubblicare l’elenco dei loro titoli su un sito web; si può cioè cercare di rendere operante un controllo sociale collettivo sul funzionamento dei concorsi, basato sulla sanzione morale nei confronti di chi non rispetti alcune generali regole di riferimento.
Per concludere ritornando al quesito iniziale (se le nuove normative porteranno un miglioramento) la risposta non può che essere all’insegna di un certo scetticismo. Anche se i concorsi nazionali consentono una maggiore visibilità dei risultati e quindi un maggiore controllo collettivo, va comunque ricordato che erano in vigore prima dell’ultimo sistema, con risultati a loro volta discutibili: il problema vero non è l’ingegneria dei concorsi, ma l’istituzione di meccanismi incentivanti ai comportamenti virtuosi. Diceva un economista (Robertson, 1956) che l’economista risparmia su una risorsa scarsa, l’amore: si potrebbe aggiungere che è necessario anche risparmiare sull’etica, cioè che è sempre meglio affidarsi a meccanismi che spingano le persone a comportarsi bene perché è nel loro interesse, piuttosto che fare affidamento solo sulla loro (pur fondamentale) onestà personale.

Note

(1) L’uso dell’IF per la valutazione della ricerca è sempre più diffuso nel mondo scientifico. Non è tuttavia esente da critiche: la sua validità come strumento di valutazione della produttività scientifica è infatti tanto maggiore quanto più si riferisce ad insiemi di persone piuttosto che a singoli, o a insiemi di articoli piuttosto cha a singoli articoli. Ad esempio, Oswald (2007) mostra che analizzando le citazioni ricevute da articoli pubblicati 25 anni fa da riviste economiche con differenti IF, le citazioni medie delle riviste rispettavano la loro classificazione, ma singoli articoli pubblicati su riviste meno prestigiose avevano ricevuto più citazioni di alcuni articoli pubblicati sulle migliori riviste. Per una analisi delle differenze fra scienze sociali e scienze esatte nella valutazione tramite IF si può anche vedere Hicks (2006). Resta il fatto che a tutt’oggi, la considerazione della collocazione editoriale e delle citazioni ricevute rappresentano il criterio meno arbitrario di valutazione.
(2) Si tratta di un modello statistico che stima la probabilità di successo (nel nostro caso, la probabilità di vincere il concorso) in funzione di variabili esplicative (nel nostro caso, il numero di pubblicazioni dei tre tipi).
(3) Per i posti di professore ordinario, almeno venti pubblicazioni, di cui non meno della metà avrebbero dovuto avere caratteristiche di originalità teorico-metodologica nell’ambito di problematiche specifiche delle materie economico-estimative. Delle restanti pubblicazioni, almeno una avrebbe dovuto avere carattere monografico e costituire una specifica ricerca del candidato con caratteristiche non meramente compilative.
(4) Solo il 5,3% dei vincitori aveva almeno 20 pubblicazioni CABI, e solo una uguale percentuale aveva almeno 10 pubblicazioni Rea_Rpa_QA.

Riferimenti bibliografici

  • Checchi D., “Tenure. An appraisal of a national selection process for associate professorship, Giornale degli Economisti e Annali di Economia 2/1999 (versione italiana “Un posto a vita. Analisi di un concorso nazionale a professore universitario di seconda fascia”, disponibile a: [pdf])
  • Gagliarducci S., Ichino A., Peri G., Perotti R., Lo splendido isolamento dell’Università italiana, lavoro preparato per la Conferenza “Oltre il declino” organizzato dalla Fondazione Rodolfo De Benedetti, Roma, 22/2/2005, disponibile a: [link]
  • Hicks D., The Dangers of Partial Bibliometric Evaluation in the Social Sciences, Economia Politica, n. 2, 2006
  • Oswald A.J., An Examination of the Reliability of Prestigious Scholarly Journals: Evidence and Implications for Decision-Makers, Economica, 2007, 74, 21–31
  • Perotti R. The Italian University System: Rules vs. Incentives, Paper presented at the first conference on Monitoring Italy, ISAE, Roma, January 2002, disponibile a: [link]
  • Robertson D. H., “What Does the Economist Economize?” in Economic Commentaries, London: Staples Press Limited, 1956

Link dell’articolo: http://agriregionieuropa.univpm.it/dettart.php?id_articolo=190

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Clemente Mastella

Clemente Mastella, attuale Ministro di Grazia e Giustizia, nonché Sindaco di Ceppaloni, avente diritto quindi a doppio stipendio e relativi doppi benefici, nasce professionalmente come giornalista. Ma come inizia la carriera di costui? Semplice: Mastella stesso racconta come l’assunzione alla Rai sarebbe stata agevolata da una raccomandazione del potentissimo democristiano Ciriaco De Mita, tanto che ne seguirono ben 3 giorni di sciopero della redazione locale. In vista delle elezioni politiche del 1976, come sempre racconta lui stesso, nelle pause pranzo dei dipendenti della Rai, chiedeva “ai centralinisti di telefonare nei comuni del mio collegio elettorale. Mi facevo introdurre come direttore della Rai e segnalavo questo nostro bravo giovane da votare: Clemente Mastella. Funzionò”. Mastella fu quindi eletto deputato, nelle fila della Democrazia Cristiana. E dopodiché non ha più tolto il sedere da una poltrona. Molto discussi sono i trascorsi rapporti di amicizia con l’ex-presidente del consiglio comunale di Villabate e condannato per mafia Francesco Campanella. Rapporti tanto stretti che Mastella fu testimone delle nozze di Campanella. Alle stesse nozze fu testimone anche il presidente della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. All’inizio del febbraio 2007 viene raggiunto da un avviso di garanzia da parte della Procura della Repubblica di Napoli. L’ipotesi formulata dagli inquirenti è quella di concorso in bancarotta fraudolenta per il fallimento del Napoli Calcio, dichiarato nel 2004 con sentenza del Tribunale di Napoli. L’iscrizione nel registro degli indagati rappresenta un fatto dovuto, dal momento che, all’epoca della commissione dei presunti illeciti (2002), Mastella era membro a tutti gli effetti del consiglio di amministrazione della Società di cui era, tra l’altro, vicepresidente. Interpellato al riguardo, Mastella si è ovviamente chiamato fuori dal crac della squadra, sostenendo di non aver mai partecipato direttamente alla gestione della Società.

fonte Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Clemente_Mastella

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Moriremo capitalisti?

E’ un qualcosa che sappiamo tutti, di cui abbiamo piena coscienza, eppure la realtà circostante megafonata dai media ci ripete in continuazione che non è vero, che ciò che pensiamo è sbagliato. Mi riferisco al fatto di non credere che il sistema nel quale viviamo sia l’unico possibile e il migliore possibile.
Farò un paio di esempi così ci capiamo meglio, perché quando di parla della nostra vita bisogna parlare bovino e non difficile come i libri stampati.

Primo esempio: sto parlando con il tecnico riparatore della tv e lui mi sta dicendo che tra qualche anno il suo mestiere scomparirà. “Ma come”, dico io, “vuol dire che i televisori non si romperanno più?” “No, quando si romperanno si butteranno via e se ne compreranno dei nuovi”. Mentre lo dice nemmeno lui ne è tanto convinto e a questa idea anch’io istintivamente mi ribello. Faccio parte della generazione i cui genitori riciclavano gli abiti del figlio maggiore a quello minore, figuratevi, e chi non aveva fratelli come me li ereditava dai cugini.

Secondo esempio: mi domando perché non vi sia un servizio decente di autobus per andare al mare, visto che non ho la macchina. Risposta: non è conveniente perché tutti hanno la macchina e per pochi utenti il servizio costerebbe troppo. Di fatto io e magari tante persone non automunite, giovani e anziane, non possono andare al mare se non hanno qualcuno che li accompagna in macchina.

Sono esempi da tre soldi, forse stupidi? No, riflettendoci un attimo su, viene fuori che alla fine è la nostra libertà ad essere limitata.
Dove sta scritto che quando mi si rompe il televisore io non debba farlo riparare ma buttarlo, creando ulteriore monnezza difficilmente riciclabile e pure inquinante? Perché il tecnico riparatore deve scomparire, come scompaiono le sarte, i ciabattini, i falegnami, ecc.? Il motivo sta solo nel fatto che non si producono le merci che ci servono ma se ne producono sempre di più. Non è la domanda che crea l’offerta, ma esattamente il contrario.
L’autobus per il mare. I servizi non sono più considerati tali ma anch’essi devono produrre profitto. E’ così anche per i treni e i trasporti in genere. Visto che se solo dieci persone vanno al mare in autobus in un giorno d’estate loro non ci guadagnano, allora si elimina il servizio. Fare il ragionamento che forse se la gente avesse un servizio di trasporto pubblico decente lascerebbe a casa l’auto e diminuirebbe il traffico, no, non se ne parla nemmeno. Il sistema nel quale viviamo non brilla né per flessibilità di pensiero né per altruismo nei confronti degli utenti.

Se ascoltiamo i megafoni di regime che parlano per bocca di chi “ci guadagna”, ricordiamo bene le parole d’ordine: crescita, sviluppo. Il paese deve crescere, il PIL deve crescere, bisogna ampliare lo sviluppo.
Facendo un paragone biologico, un organismo cresce e si sviluppa ma ad un certo punto, raggiunta la fase adulta, si ferma e anzi, inizia a declinare progressivamente fino alla sua morte e distruzione.
Il qualcosa che si sviluppa in senso economico invece, il mercato, non si ferma mai e dovrebbe teoricamente continuare a svilupparsi all’infinito. Anzi, tutte le risorse disponibili, umane e non devono essere sacrificate a questo grande Moloch, lo sviluppo esponenziale.
Già qui ci rendiamo conto che siamo nell’ambito di qualcosa di contrario alla nostra natura biologica. Per parafrasare l’agente Smith di Matrix, quando parlava di Uomo e virus, c’è un’altra cosa che cresce in teoria in maniera inarrestabile: il cancro.

Questo sistema economico, che oltretutto ha già cominciato a distruggere la stessa economia per farne pura finanza, è un cancro che sta progressivamente distruggendo le nostre vite e, cosa ben più grave, il nostro ambiente. Vi pare un’affermazione troppo forte?

Ieri mi sono imbattuta per caso, leggendo questa intervista su Megachip con l’autore, nel pensiero di Serge Latouche , filosofo e teorico della decrescita. Le sue idee mi paiono interessanti e vi rimando ad un po’ a i suoi articoli per l’approfondimento.
Certo, come tutte le idee che tentano di immaginare un altro mondo possibile, anche il pensiero di Latouche si scontra con la fatale frase: “Va bene, e in concreto come lo cambiamo questo mondo?

Secondo lui c’è poco da attendersi dalla sinistra:

“La sinistra istituzionale è già una cosa di per sé non completamente chiara. La si può definire come quella parte politica che intende gestire l’economia e quindi la società in maniera magari diversa dagli ultra-liberisti, ma che vuole gestire il sistema, non cambiarlo o rimetterlo in causa.”

Quella che io definirei il capitalismo con l’anestesia.
Mi paiono interessanti anche queste sue altre riflessioni:

“Credo che bisogna abbandonare anche la problematica del “soggetto storico” che abbiamo ereditato dal marxismo. Ogni battaglia ha una fine. La lotta di classe oggi è terminata ed è il capitale che ha vinto. La globalizzazione è la manifestazione della sua vittoria: provvisoria ma incontestabile. Ci sono due maestri tra le mie fonti d’ispirazione: Cornelius Castoriadis e André Gorz. Secondo loro il sistema capitalistico si autodistrugge. Nessuno ha il potere di resistere alle multinazionali. D’altra parte, non è ciò che resta della classe operaia che si farà portatrice del cambiamento, della “democrazia radicale”. Anzi, gli operai sono a volte più reazionari degli industriali. È tutta l’umanità che è minacciata da uno sviluppo e da una crescita senza limiti quindi, potenzialmente, tutti possono essere i fautori della decrescita.”

Siamo quindi su un’astronave che si autodistruggerà prima o poi? Temo però anch’io che l’autodistruzione del capitalismo porterà con sé la distruzione del pianeta, specie se la mia metafora forte della neoplasia sarà valida fino in fondo. Quando il cancro ha ormai invaso ogni meandro dell’organismo ospite, infatti, insorge la cachessia e quindi la morte dello stesso. Possiamo restare fermi ad aspettare che il sistema crepi, e noi con lui, oppure dovremmo muoverci per cambiare le cose? A questo punto il problema è come.

Fino ad ora nella storia precedenti sistemi economici furono rovesciati da rivoluzioni, perché furono pensati sistemi alternativi, giusti o sbagliati che fossero, e gli uomini si mossero.
L’unico vero movimento rivoluzionario che si intravede di questi tempi, il movimento antiglobalizzazione del quale Latouche è un esponente, dopo le mazzate di Genova si è ripiegato su sé stesso.

Come possiamo cambiare il sistema? Con forme di resistenza, dal rifiuto del consumismo (che però sarebbe efficace solo sui grandi numeri), al boicottaggio dei media tradizionali.
Oppure la grande rivoluzione potrebbe essere, come suggerisce Massimo Fini nel suo libro “Il denaro, sterco del demonio”, l’eliminazione del denaro dalla nostra vita, la sua abolizione? Se ci pensiamo bene potrebbe essere l’uovo di Colombo. I finanzieri, privati del denaro non saprebbero come andare avanti, non sopravviverebbero. Noi gente comune potremmo sempre barattare cose, conoscenze, esperienze. In Argentina durante la crisi del 2001 si sono sperimentate forme alternative di mercato fondate sullo scambio di cose.
Dal mercato al mercatino, dite voi? Perché no? Pensiamoci, o vogliamo proprio morire capitalisti?

Lameduck
Fonte: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/
Link: http://ilblogdilameduck.blogspot.com/2007/08/moriremo-capitalisti.html

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Marco Travaglio al V-day

“Buonasera…
Buonasera… ho paura… non fate così che ho paura a parlare… Sono contento di parlare insieme ad altri giornalisti perché i giornalisti non sono una categoria molto popolare, giustamente. Rappresento una categoria che è quella dei giornali che non hanno praticamente scritto niente su questa giornata e quindi saranno costretti a inseguire nei giorni prossimi perché non si sono accorti di quello che stava succedendo, come spesso accade, ma vi posso assicurare che non siamo tutti così. Un esempio è Ferruccio, Massimo è più che un giornalista. Vorrei ricordare Lirio Abbate, un giornalista di Palermo sotto minaccia della mafia per aver scritto il libro “I complici” con Peter Gomez dove si fanno i nomi dei complici della mafia. Il fatto che la mafia lo abbia subito individuato non depone molto a favore della categoria perché vuol dire che molti altri quei nomi non li hanno mai fatti, altrimenti la mafia dovrebbe minacciare tutti e non ce la farebbe, nemmeno lei.
Si parla molto di legalità, di certezza della pena, di tolleranza zero. Se n’è parlato anche oggi e chi non è d’accordo, naturalmente? Sono tutte cose bellissime, infatti Previti è stato condannato a 7 anni e mezzo e ha fatto quattro giorni e mezzo di carcere. Su sette anni e mezzo, quattro giorni e mezzo. Per liberare lui, che tra l’altro era già libero perché era agli arresti domiciliari, ne hanno liberati circa 50.000 l’anno scorso, una mossa anche astuta se ci pensate: per liberarne uno ne mettiamo fuori altri 50.000 così non si nota tanto che abbiamo messo fuori lui. Era meglio dire “mettiamo fuori lui, ma gli altri li teniamo dentro”, ma siamo amministrati da gente molto astuta.
Naturalmente, se la certezza della pena esistesse la pena verrebbe scontata in carcere e non in Parlamento e invece, purtroppo, ci sono persone che scontano la pena in Parlamento. Se le parole avessero un senso, Andreotti non lo chiamerebbero senatore a vita ma prescritto a vita, perché è stato prescritto e non assolto. Se la legalità fosse un valore non si intesterebbero strade a Bettino Craxi, o al massimo… o al massimo, come ha detto Claudio Sabelli Fioretti, se proprio volete intestategli una tangenziale che almeno ci si ricorda qual era la sua attività.
E’ successo, quest’estate, un episodio che riguardava l’onorevole Mele, quel genio che essendo reduce dal Family Day ha due famiglie, naturalmente, due mogli e quando va con le squillo… due alla volta anche le squillo. Si è scoperto che, quando non era ancora parlamentare ed era solo vicesindaco del suo paese, era stato arrestato per concussione perché pigliava le tangenti e poi andava a giocarsele al Casinò di Montecarlo. Appena Casini ha notato questo promettente giovanotto lo ha subito annesso all’UDC e l’ha subito candidato per le liste per un posto sicuro in Parlamento. Appena scoperto che andava a puttane lo ha espulso. Quindi la regola è: rubate fin che volete che c’è posto per voi, l’importante è che non andiate a puttane o se andate a puttane non fatevi beccare. Questa è la lezione che se ne trae.
Su Mastella non voglio aggiungere cose perché è già stato abbastanza massaggiato nella giornata di oggi ma vorrei ricordare che… si è vero: non lo si massaggia mai abbastanza… ma nessuno ricorda, nel libro di Abbate e Gomez c’è, che Mastella, come Casini, è un talent scout. Aveva notato un
ragazzino a Villabate, in provincia di Palermo, molto promettente: era presidente del consiglio comunale di Villabate che è stato sciolto per mafia; poi è stato ricostituito il consiglio comunale, lui era di nuovo presidente, è stato di nuovo sciolto. Questo ragazzo si chiama Francesco Campanella ed è il braccio destro del boss di Villabate che si chiama Nino Mandalà. Poi, a tempo perso, faceva il politico in consiglio comunale naturalmente nell’UDEUR. Mastella l’ha voluto premiare, perché questo ragazzo meritava un premio, dunque l’ha fatto segretario nazionale dei giovani dell’UDEUR. Io non so se esistano questi giovani dell’UDEUR ma il segretario nazionale esiste ed è Campanella. Campanella adesso è in galera perchè è un mafioso e quando si è sposato aveva come testimoni di nozze da una parte Mastella e dall’altra Totò Cuffaro. Pensate che matrimonio: in mezzo c’è un mafioso, da una parte il futuro ministro della Giustizia e dall’altra il futuro governatore della Sicilia. Recentemente hanno beccato il sindaco di un paesino vicino a Napoli che andava a 200 all’ora con la macchina. L’hanno fermato hanno cercato di levargli dei punti dalla patente e lui, naturalmente, ha detto: “Lei non sa chi sono io!”. Il poliziotto ha detto: “Lo so benissimo chi è lei, è il sindaco di quel paesino” e lui ha risposto: “Riferirò al mio segretario, che è anche ministro della Giustizia”, minacciandolo. Dopo di che ha chiesto: “Di che corpo siete?” “Siamo dei Carabinieri” “Peggio per voi! Avevo deciso di costruire una caserma dei Carabinieri e adesso non la costruisco più“. Questo è un altro esponente del partito del nostro ministro della Giustizia.
E qui mi taccio perché Mastella merita rispetto: ha subito un vile attentato recentemente. Stava dormendo sottocoperta nello yacht di Diego Della Valle quando, proditoriamente, un terrorista ha tagliato gli ormeggi allo yacht che è andato alla deriva. Io voglio dire: bisogna essere proprio stupidi, se ci pensate. Fare un attentato a Mastella nell’unico momento in cui non nuoce, perché sta dormendo! Ma lascialo dormire sperando che duri il più a lungo possibile, questo letargo! Invece sono andati a svegliarlo così ha ricominciato a fare danni.
Dico ancora due cose, poi me ne vado, credo che siate provati visto che siete in piedi da qualche ora. In questi giorni si parla molto di Rudolph Giuliani, che ha una pessima fama perchè in Italia lo conosciamo solo dalla cintola in giù. Lo conosciamo soltanto come il sindaco di New York che inseguiva i graffitari, gli spaccavetrine, gli imbrattamuri. Non ci ricordiamo che c’è anche un Giuliani dalla cintola in su che era procuratore di New York, collaborava con Giovanni Falcone e ha messo in galera tutti i capi della mafia americani e quando ha finito con loro si è dedicato ai reati finanziari e ha messo in galera tutti i capi della Borsa di New York. Se avete visto il film di Michael Douglas “Wall Street” sapete di cosa parlo: si vedono tutti i banchieri che finiscono dentro uno dopo l’altro e in inglese “indulto” è una parola intraducibile quindi quando li portano dentro vuol dire che ci rimangono. I reati finanziari in America sono una cosa seria: c’è gente che è stata condannata a 90 anni per Enron. In Italia la pena massima per i reati finanziari, se proprio ti va di sfiga, è la presidenza del Consiglio. E’ molto diversa la situazione. Rudolph Giuliani, quando è diventato sindaco, era noto per aver arrestato i mafiosi e i banchieri: ecco perché poteva rivolersi agli spaccavetrine credibilmente.
Adesso mi voglio prendere qualche fischio, perché ne ho abbastanza degli applausi: Cofferati avrà tanti difetti ma ha cominciato le battaglie sulla legalità non quando è diventato sindaco di Bologna. Quando era segretario della CGIL ha portato tre milioni di persone in piazza per difendere la legalità sui luoghi di lavoro contro i licenziamenti facili dell’articolo 18. Questo non va mai dimenticato perché è un po’ diverso dagli altri sindaci che scoprono l’illegalità dei lavavetri mentre fanno entrare nelle loro città Salvatore Ligresti con due condanne perché faccia le sue speculazioni, e sto parlando del sindaco di Torino Chiamparino e del sindaco di Firenze Domenici.
Il ministro Amato si candida ad essere il Rudolph Giuliani d’Italia. Grillo vi ha già detto da dove arriva: non faceva il procuratore di New York ma il braccio destro di Craxi e non aveva mai capito dove si trovasse. Poi c’è un “Amatino” un piccolo Rudy Giuliani un certo assessore Cioni, che voi non avete la fortuna di avere ma i fiorentini sì, è il capo del dalemiani di Firenze, il quale all’improvviso, dato che la moglie è stata insultata da un lavavetri, ha fatto un’ordinanza per stabilire che chi lava i vetri commette reato. Il reato qual è? Mancata osservanza dell’ordinanza del sindaco. Adesso non si capisce bene quali vetri si possano ancora lavare, a Firenze. Voi immaginate uno che sta lavando il vetro della sua macchina: teoricamente anche lui incorre nel divieto. con la pompa dell’acqua la domenica. Non si capisce dove stia il reato di uno che lava il vetro. C’è chi dice: “ma il lavavetri ti minaccia” ma quello è il reato di minaccia e c’è già senza bisogno dell’ordinanza. “Ma quello ti riga la macchina”, il danneggiamento è già vietato. L’atto di lavare il vetro non può essere reato. Cos’hanno fatto? Hanno detto “non si lavano vetri ai semafori”, tant’è che un assessore leghista di Treviso ha detto che loro hanno risolto il problema dei lavavetri con le rotonde: non ci sono più semafori e come fanno a lavare i vetri? Si ma io ho già visto quelli coi pattini…
Noi giornalisti siamo bravissimi a farci le pippe se l’ordinanza è di destra o sinistra, se Cioni è il nuovo Giuliani, se è fascista o comunista cacciare i lavavetri. Nessuno si è chiesto se l’ordinanza funziona o no, per lo scopo che si prefigge. Vi dico soltanto che la pena per chi vìola l’ordine del sindaco di Firenze è tre mesi al massimo di arresto non di custodia cautelare, ma dopo il processo! Quindi devi prendere il lavavetri il flagranza di spugnetta, sequestrare spugnetta e secchiello, portarli nell’ufficio corpo del reato del Tribunale che diventerà un hangar, iniziare le indagini preliminari, fare l’udienza preliminare, poi il processo di primo grado e intanto bisogna sperare che il lavavetri stia sempre lì sulla panchina davanti al Tribunale in attesa della sentenza perché se taglia la corda non lo becchi più: non sai dove abita e non sai come si chiama ovviamente. Il processo va avanti, dura dieci anni, impiega una decina di giudici, pubblici ministeri, avvocati, cancellieri, poliziotti e alla fine cosa succede? Se è ancora lì che aspetta gli notifichi la condanna di un mese con la condizionale, cioè non va in galera, oppure la multa, e lui ti dice di essere nullatenente quindi non la paga. Il risultato è che lo Stato ha speso un’ira di Dio di soldi per il processo, alla fine non succede assolutamente nulla. Qual è l’unico risultato? Che l’assessore Cioni è finito sui giornali per una settimana come il nuovo Rudolph Giuliani e non ha risolto minimamente il problema! Questo è il fatto.
Allora come si risolvono questi problemi? Facendo fatica, facendo politica, facendo delle norme che servano, delle politiche sull’immigrazione di integrazione o anche di repressione nei confronti dei clandestini, identificarli, prendere le impronte. Se è razzismo prendere le impronte a loro, prenderle anche agli italiani, anche a tuti noi e anche il DNA, così ciascuno avrà il suo nome e non potrà dare false generalità. Questo lo si fa investendo soldi e non finendo sui giornali. Oppure politiche di integrazione: perfino Gianfranco Fini aveva fatto una proposta, cioè il diritto di voto agli immigrati, anche se non sono cittadini, alle elezioni comunali. La Russa, spaventato dalle proteste della Lega Nord e della stessa base di AN, ha precisato che l’importante è che l’extracomunitario non abbia condanne e nemmeno processi in corso. Che è, in un Paese come la Norvegia una norma perfetta. Ma in Italia in quale lingua spieghi a un extracomunitario che per poter eleggere un pregiudicato deve essere incensurato?
Chiudo. Perché partono dai lavavetri e dagli ambulanti? Perché se partissero dall’alto come Rudy Giuliani si svuoterebbe il Parlamento, si dimezzerebbe la commissione antimafia, si svuoterebbe Confindustria, si svuoterebbero varie associazioni di categoria di persone molto importanti. Perché Montezemolo vuole cacciare chi paga il pizzo e non chi paga le tangenti? Perché tanto chi paga il pizzo non si sa chi è e quindi non succede assolutamente niente. E’ come Cioni, Montezemolo: è finito sui giornali facendo bella figura a costo zero.
Il presidente del comitato di controllo di Mediobanca è Cesare Geronzi che ha più processi in Tribunale che capelli in testa. E’ sotto processo per la Parmalat, per la Cirio, è condannato in primo grado per il fallimento dell’Italcase-Bagaglino ed è imputato a Palmi per usura. Questo fa il presidente del comitato di vigilanza di Mediobanca. Nessuno, tranne Di Pietro, ha chiesto le sue dimissioni. E’ da quelli che si dovrebbe cominciare con la tolleranza zero, se si avesse la possibilità di farlo.
Vi voglio dire un’ultima cosa: quello che stiamo facendo oggi non è inutile. Ci sono piccoli segnali di cambiamento. A Venosa la Pro Loco con denaro pubblico ha dato 6.000 euro a Fabrizio Corona per andare alla notte bianca, tremila persone hanno raccolto firme contro e sono andati a contestare questo cialtrone in piazza. Viva i ragazzi di Venosa!
Fastweb ha come testimonial Valentino Rossi. Quest’estate, dopo che si è scoperto che Rossi deve 112 milioni di euro al fisco è stata subissata di mail di ragazzi che in pieno agosto hanno scritto “noi cambiamo gestore se voi non togliete Rossi come testimonial. E’ un altro bel segnale. Purtroppo noi giornalisti siamo ancora indietro quindi il TG1 e il TG5, che stasera non ci sono, hanno regalato a Valentino Rossi il messaggio a reti unificate dal suo caminetto di Londra. Se Valentino Rossi fosse in America il messaggio a reti unificate lo manderebbe da Sing Sing sperando che qualche televisione glielo trasmetta e credo che non la troverebbe.
Non è inutile quello che stiamo facendo perché Previti quando dopo quindici mesi è stato finalmente cacciato dal Parlamento all’inizio di agosto, ha dato un’intervista a un giornale e ha detto: “Sapete chi mi ha cacciato dal Parlamento? Travaglio e Grillo“. Devo dire che prima mi sentivo molto inutile; da quando Previti mi ha dato questo bel riconoscimento mi sento un po’ meno inutile!
Vuol dire che bisogna continuare a battere su questi tasti e succedono le cose. Per il resto, speriamo che Cuffaro e Dell’Utri lavino qualche vetro e così vedremo in galera anche loro. Buona serata, ciao!” Marco Travaglio

fonte: Travaglio ministro della Giustizia

il video lo trovate su YouTube: V-Day – Bologna, 8 settembre 2007 – Marco Travaglio

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nessun condono per i 98 miliardi di euro evasi dai monopoli di stato

Ronano Prodi, incalzato da un inviato di Striscia la Notizia sulla maxi evasione da 98 miliardi di euro da parte dei monopoli di stato, assicura che non ci sarà nessun condono, sebbene non mi sembra che si si sbilanciato troppo nell’assicurare che i responsabili di questo colossale furto ai danni del popolo italiano verranno perseguiti senza alcuno sconto (in fin dei conti ha solo detto che non ci saranno condoni, il che mi sembra a malapena il minimo di quello che avrei voluto sentirgli dire).

fonte: FISCO/ PRODI: NESSUN CONDONO PER IMPOSTE NON PAGATE DA MONOPOLI

vedi anche 98 miliardi di euro di evasione fiscale

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lezioni dalla Birmania

in questi giorni l’attenzione dei media ci costringe a puntare lo sguardo sulla Birmania, un paese del sud-est asiatico che vive da oltre 45 anni sotto un regime che opprime la popolazione, tenendola in uno stato di miseria e povertà nonostante il Myanmar sia un paese ricco di risorse naturali (gas naturale, rubini, teck, etc.), nonostante fosse il maggior produttore mondiale di olio e di riso sotto l’impero britannico.

Oggi tutti sanno cosa succede in Myanmar, eppure questo stato di cose è andato avanti per 45 anni e mai nessuno (tranne poche eccezioni) se ne è preoccupato.

Oggi per esprimere la propria solidarietà al popolo birmano ci si mette un fiocchettino rosso sulla maglietta, si esprime indignazione.

Anche il papa esprime la sua “vicinanza spirituale” al popolo birmano.

Gli Stati Uniti decidono di vietare le transazioni economiche per i dirigenti del regime.

Ma noi cosa stiamo facendo? di certo non possiamo andare laggiù per fare qualcosa di persona, gli stranieri oggigiorno non sono ben accetti in Myanmar, e allora che possiamo fare?

Possiamo trarre tutti gli insegnamenti che possiamo da questa tragedia. A qualcuno o a molti abituati a parlare (e basta) più che a ragionare potrà sembrare poco, eppure io penso che ci sia così tanto da imparare da questa tragedia che sarebbe un’ignominia lasciare che questa tragedia si consumi senza che sia servita a qualcosa anche per noi.

  • La prima lezione che possiamo trarre è che il potere ha bisogno che non si sappia, che non circolino le idee e le notizie, infatti uno dei primi atti repressivi della giunta militare della Birmania è stata di bloccare internet (nonostante fosse già ampiamente limitato e censurato)
  • l’ONU ancora una volta si è dimostrato per quello che è, ovvero un inutile consesso dove vengono tutelai gli interessi di alcuni paesi e di alcuni gruppi di potere, in totale di sprezzo delle sofferenze di intere popolazioni
  • il papa è “vicino spiritualmente” al popolo birmano, tuttavia i vescovi precisano pero’ che, secondo il diritto canonico e gli insegnamenti sociali della Chiesa cattolica, “i preti e le religiose non si possono coinvolgere nei partiti politici e nelle attuali proteste”, in parole povere la strada del martirio è meglio che la percorrano i monaci buddisti, perché i sedicenti eredi degli apostoli di Gesù non possono intervenire nella vita politica di un paese (che poi è la stessa posizione che esprimono i vescovi italiani, o no?)
  • i giornali italiani, a prescindere dalla tendenza politica che pretendono di avere, riportano le stesse notizie e allo steso modo, infatti sia Repubblica che sul Corriere è riportato l’appello del papa ma non la presa di posizione dei vescovi cattolici della Birmania
  • gli Stati Uniti quando non hanno interessi nel controllo strategico di un posto (come in Iraq o Afghanistan) non hanno neanche interesse a esportare la democrazia, al massimo si limitano a sanzioni economiche (che colpiscono la popolazione) e restrizioni alle transazioni economiche dei dirigenti del regime: ma negli anni precedenti non le avevano imposte?

Oggi nel Darfur continuano a morire molte più persone che in Birmania, e questo massacro va avanti da molto più tempo, eppure non si trova la copertura finanziaria per l’invio di caschi blu nella regione, sicché ogni giorno che passa i morti aumentano, finché la notizia diventerà un semplice sottofondo come gli omicidi di palestinesi da parte degli israeliani.

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lettera di padre Jean-Marie Benjamin

dal sito di Beppe Grillo, una lettera che padre Jean-Marie Benjamin ha postato sul suo blog:

Caro Beppe Grillo,
sono padre Benjamin, non so se ti ricordi, nel marzo 2003 prima dell’aggressione americana contro l’Iraq, dicevo a “Porta a Porta” che non c’era in quel Paese nessuna arma di distruzione di massa, che era tutta una montatura di Washington per ingannare l’ONU e l’opinione pubblica.
Dicevo che se avessero invaso l’Iraq non avrebbero trovato nessuna arma di distruzione di massa, ma certamente un’eroica resistenza all’invasione. Mi hanno risposto con offese, ingiurie, calunnie e hanno dato ordine alle reti televisive e alle radio di non parlare dei miei libri e dei miei film sull’Iraq. Quando si dice la verità e i potenti Signori delle bugie non possono risponderti con altre menzogne, impiegano la denigrazione, l’insulto, la diffamazione.
Dio ti benedica, Grillo. Anche me hanno trattato da terrorista, perché dicevo la verità su quanto accadeva realmente in Iraq e denunciavo le menzogne dei “Signori delle Bugie” di Washington e Londra. Il Corriere della Sera, in un editoriale (del 2004) di un giornalista amico di un signore libico Capo del Mossad a Roma, aveva pubblicato che facevo parte di un’associazione islamica terroristica. Niente di più. Ho scritto cortesemente al quotidiano di correggere. Nessuna risposta. Il mio avvocato ha scritto al Direttore del quotidiano e al giornalista. Anche per lui, nessuna risposta. Ho fatto causa e ho vinto, con una sentenza definitiva del Tribunale di Milano.
Tutti questi “cani guardiani del Potere” mi trattavano in diretta televisiva da pro Saddam, perché dicevo che secondo l’UNICEF morivano in Iraq da 5 a 6.000 bambini al mese per le conseguenze dell’embargo, mi trattavano da anti-americano, perché dicevo che avevano contaminato la popolazione e l’ambiente con armi all’uranio impoverito, affermavano che queste armi non esistevano!
Gianfranco Fini mi tirava in faccia che non ero degno di portare l’abito religioso, perché affermavo che il rapporto presentato al Congresso americano, rapporto dell’Istituto strategico del Collegio di Guerra della Pennsylvania, conferma che nella strage di Halabja contro i Kurdi, che fece 5.000 vittime, con armi chimiche, l’Iraq non c’entrava niente. Citavo un rapporto ufficiale presentato al Congresso americano nel 1989, ma Fini, che nel 1983 viaggiava con Donald Rumsfeld in Iraq per andare a stringere la mano a Saddam Hussein, lui, nel 2003, Ministro degli Affari Esteri, non sapeva nulla di questo rapporto al Congresso. Ecco perché il processo a Saddam Hussein sulla tragedia dei Kurdi di Halabja non l’hanno mai voluto fare. Ecco perché l’hanno impiccato prima (per aver ucciso 148 estremisti islamici): per evitare il processo per le vittime di Halabja. Sarebbe saltato fuori il famoso rapporto al Congresso intitolato “Iraqi power and U.S. Security in the Middle East (97 pagine)” e sarebbe stato scoperto che in questa faccenda, loro, gli americani, avevano una pesante responsabilità.
Manipolano le coscienze con montagne di menzogne e offendono coloro che divulgano la verità per denigrarli presso l’opinione pubblica con la loro potente macchina di disinformazione. Come hai detto così bene, per farlo, i loro “cani da guardia”, su tutte le reti aziendali, abbaiano. Contro chi attacca la loro egemonia, contro chi denuncia il loro predominio e la loro arroganza. Il loro odio non ha fine. Per fermare chi dice la verità non si fermano dinanzi a nulla. Ecco un esempio: il 14 febbraio 2003 accompagnavo Tareq Aziz e la delegazione irachena per l’incontro con Papa Giovanni Paolo II. Saputa la cosa, hanno fatto di tutto per impedirlo. Sono (i signori delle Bugie e del Potere) intervenuti presso il Cardinale Camillo Ruini e presso alcuni potenti Prelati della Segreteria di Stato del Vaticano, perché mi fosse impedito di incontrare Giovanni Paolo II. E così fu.
Il giorno dell’udienza, arrivato con la delegazione irachena presso la biblioteca del Papa, mi fu impedito di entrare e mi fu chiesto di aspettare (come un cane), da solo, in una stanza. Dopo l’udienza di Aziz con il Papa, quando il Ministro iracheno è venuto a sapere quanto era accaduto, furioso, ha deciso di cancellare la conferenza stampa del pomeriggio presso la Sala Stampa Esteri. E’ soltanto dopo aver insistito per tre volte di mantenere la conferenza che finì per accettare. Tareq Aziz doveva partecipare a “Porta a porta”. Una telefonata del produttore mi informava, la mattina della trasmissione, che era stato vietato ai giornalisti di ricevere il ministro iracheno negli studi della RAI, e furono cancellate tutte le trasmissioni Rai alle quali avrebbe dovuto partecipare Aziz.
Democrazia in delirio. Caro Beppe, dicono di te cose deliranti! Benedetto sei tu, quando sei oltraggiato e offeso, ne esci ancora più grande. E’ così: i Media aziendali devono obbedire ai loro sponsor, lobby dell’armamento e del petrolio. Chi paga, comanda. Prendono i figli di Dio per dei coglioni, ma il peggio è che i figli di Dio non se ne rendono nemmeno conto! Fabbricano, nei loro studi, un video con un attore nel ruolo di Bin Laden.
Un anno fa con la barba grigia, adesso con la barba nera. Se ne accorgono troppo tardi e dicono che la barba di Osama è nera in questo nuovo video, perché è una tradizione degli islamici di tingersi la barba quando sono in guerra. L’anno scorso la barba di Osama era grigia e bianca, oggi è nera! Probabilmente perché l’anno scorso, anche se Bin Laden era in guerra, aveva dimenticato di andare in tintoria. Pronto il nuovo video di Osama barba nera, tutti i “cani da guardia” a trasmetterlo con appassionati commenti.
L’anno scorso, i Servizi segreti francesi avevano dichiarato che Bin Laden era morto e che ne avevano le prove. Sarà risuscitato. In un video, vedi Bin Laden mangiare con la mano destra quando è mancino e tutti coloro che lo conoscevano possono testimoniare che è mancino, ma fa niente, nessuno lo sa. Il suo anello al dito, non è suo, ma fa niente, non si vede bene. Gran parte dei discorsi del Bin Laden super star sono stati scritto da Adam Gadhan, di Los Angeles, il cui nome originale è Adam Pearlman (anche noto come Azzam l’Americano), ma fa niente. Che ne sa il gregge della RAI.
Ti dicono: oggi 27 attentati terroristici in Iraq. Non sanno nemmeno in Iraq chi siano gli autori di queste azioni, ma i Media in Occidente ti dicono che sono dei terroristi. Nell’ultima guerra mondiale, durante l’occupazione della Francia, la radio tedesca di propaganda diceva della Resistenza francese che si trattava di terroristi che attaccano le forze tedesche. Diceva Goebbels, capo della propaganda del III° Reich: “Quando dite una bugia, dovete ripeterla mille volte, alla fine tutti crederanno che è vera”.
Così fanno i servi dell’Impero della Bugia di Washington, Londra, Roma, Parigi e Sidney. Ti ricordi che i “cani guardiani del potere” avevano pubblicato che padre Benjamin aveva ricevuto dal Governo di Saddam Hussein delle “allocazioni” di petrolio. Avevo risposto che non le avevo mai accettate. Quando gli ispettori dell’ONU hanno pubblicato il loro rapporto e hanno scritto che non soltanto il Ministero del petrolio a Baghdad e la SOMO confermava che padre Benjamin non aveva mai ritirato queste allocazioni, ma che le aveva rifiutate ufficialmente con una lettera a Tareq Aziz (della quale gli ispettori dell’ONU avevano una copia), nessun quotidiano, dico nessuno di quelli che mi avevano offeso e denigrato, ha avuto il coraggio di scrivere “ci siamo sbagliati con Benjamin: il rapporto ONU conferma che non ha mai accettato queste allocazioni di barili di petrolio”. Anzi, padre Benjamin è stato l’unico, tra centinaia di personalità, ad aver rifiutato. L’unico stronzo, perché adesso si è fatto fregare il suo petrolio dagli americani.
Invece, puoi immaginarti il casino se fosse adesso rivelato quale società di Donald Rumsfeld faceva business con Saddam Hussein durante l’embargo e la quantità di barili di petrolio ed altro che si sono presi due Capi di Stato di Paesi Europei. E non sono quei Capi di Stato che si potrebbe immaginare, perché contrari all’aggressione contro l’Iraq. No, sono altri.
Potrei scriverti un libro, potrei anche raccontarti un sacco di cose sull’11 settembre 2001, sulle confidenze di Tareq Aziz durante la sua visita in Italia, su cosa probabilmente accadrà prossimamente in Iraq, ma non voglio abusare della tua pazienza e del tutto tempo. Ti ringrazio già di avermi letto fin qui. Volevo soltanto testimoniarti la mia stima per il tuo coraggio. Saranno capaci di tutto per fermarti, ma non ce la faranno. Sul tuo treno stanno salendo ogni giorno sempre più viaggiatori e il tuo binario è diritto, il loro è vecchio, storto e pericoloso. Ricordati di Colui che diceva “la Verità vi renderà liberi”. Jean-Marie Benjamin

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windows o linux?

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