Sono un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, unitamente a mia moglie Salerno Marisa(medico odontoiatra) e due bambini, perché ho denunciato la criminalità organizzata “ ’ndrangheta †e le sue collusioni .
La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo politico ed istituzionale, ha distrutto le mie floride imprese di costruzioni edili. Come? Bloccandone le attività , rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operavo. Tutto ciò dal giorno in cui ho detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.
Le mie imprese occupavano mediamente qualche centinaio di persone, cui va aggiunta l’occupazione di ditte specializzate in vari settori (idraulico, impiantistico,di pavimentazione, lavorazione intonaci, ecc.) e svolgevano attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato.
Una delle due, nello specifico la “ Masciari Costruzioni †operava con gli appalti pubblici: dunque era orientata alla costruzione di: Case Popolari, Impianti Sportivi, Scuole, Strade, Restauri di Centri Storici, ecc. Lavoravo bene, avevo anche dieci cantieri aperti contemporaneamente . Nel contempo, l’altra impresa societaria lasciatami da mio padre, in cui avevo l’incarico di amministratore, costruiva Abitazioni Civili destinati alla vendita e realizzava lavori privati per conto terzi.
Inizialmente mio padre e poi successivamente io, riferivamo alle Forze dell’Ordine le pressioni di natura estorsiva che la ‘ndrangheta esercitava sulle nostre imprese e del pericolo cui eravamo esposti.
Le risposte erano sempre le stesse: “ stia attento prima di denunciare, si rischia la vita, non si esponga troppoâ€.
Nel 1988, il mese di febbraio, venne a mancare mio padre. Mi trovai completamente solo, con una famiglia numerosissima di nove fratelli e per poter continuare a lavorare dovetti cedere alle richieste estorsive: il SEI per cento ai politici, il TRE per cento ai mafiosi. Ed i soprusi che dovetti sopportare, le angherie, le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, l’acquisto di autovetture, e persino la costruzione di cappelle cimiteriali ecc….
A questo si aggiunge che la soggezione al potere mafioso era imposto soprattutto dall’atmosfera di invivibilità che si era creata in quegli anni su tutta la Calabria ed in particolare nel mio territorio, dove, per supremazia di interesse da parte delle famiglie malavitose, scoppiò la cosiddetta “ FAIDA DEI BOSCHI “, che apportò decine di morti e diffuse il terrore nei cittadini onesti ed in particolar modo in chi esercitava un’attività imprenditoriale, vittime di atti intimidatori e di taglieggiamenti.
Ma il senso di ribellione alla prepotenza e all’ arroganza che subivo era presente in me, solo che non avevo alternative e la responsabilità che sentivo verso la mia famiglia, verso i miei dipendenti, verso me stesso, era enorme.
Dal 1990, decisi di non sottostare alle pretese estorsive dei politici che consisteva nell’elargizione di denaro e di lavori gratuiti, di conseguenza non si fecero attendere le prime ripercussioni sulla mia azienda. Gli stati d’avanzamento lavori mi venivano pagati con notevole ritardo che arrivava a superare anche l’anno e addirittura non mi venivano considerati i lavori eseguiti che dunque non erano nè contabilizzati nè pagati. Cercavo di resistere a queste forme di ostruzionismo con molta difficoltà e le banche, dal loro canto, facevano la loro parte aggravando l’azione d’intralcio.
Dal 1992 con durezza e determinazione decido di non elargire più somme di denaro alla ‘ndrangheta.
Incominciava così la disfatta totale delle mie imprese: fioccarono i danni dolosi come furti, incendi, danneggiamenti dei mezzi di lavoro e di attrezzatura sui cantieri, per passare poi alle esplosioni d’arma da fuoco ( LUPARA ), alle minacce personali, alle telefonate minatorie che mettevano in subbuglio la vita quotidiana di una intera famiglia.
Nel 1993, mese di Aprile, giorno di pasquetta uno dei miei fratelli fu avvicinato da sconosciuti e sparato alle gambe . Se la cavò. Fui fermato da malavitosi che mi costrinsero a non costituirmi parte civile. E così dovetti fare.
Le banche subdolamente mi consigliavano di rivolgermi agli usurai per ottenere quella liquidità che mi era venuta meno dai mancati pagamenti dei lavori già realizzati e per i quali io avevo investito le mie risorse.
Un circolo vizioso dunque!
Nel settembre 1994, con grande amarezza, decisi di licenziare tutti gli operai della mia impresa pur avendo diversi cantieri in opera, lavori in fase di ultimazione, nuovi appalti aggiudicati e altri di cui stavo per stipulare i contratti, appalti che comprendevano lavori anche in Germania a cui dovetti rinunciare, il tutto per un importo di circa 25 miliardi di lire .
Fu nel mese di novembre dello stesso anno e precisamente giorno 22 (compleanno di mia moglie) che incontrai il maresciallo LO PREIATO NAZARENO, comandante allora della stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno, mia località di residenza e, sapendo del suo sentito impegno, incominciai ad avere fiducia, raccontando in linee generali le mie vicende e quanto mi stava succedendo; fiducia che mi era venuta meno dal comportamento che dopotutto si preoccupavano per me ma nello stesso tempo esprimevanoanimo di rassegnazione non confacente al ruolo che rivestivanodelle persone che lo avevano preceduto, i quali erano da me informati circa le mie vicissitudini.
Ma le ripercussioni non furono limitati ai fatti sopra descritti. Nell’ ottobre del 1996 mi fu notificata la sentenza di fallimento di una delle mie imprese della quale ero titolare, la “MASCIARI COSTRUZIONI di Masciari Giuseppe “ ditta individuale. Dunque la mia ribellione era ulteriormente punita: inverosimilmente il fallimento era decretato per un importo di lire 134.000.000, avverso l’azienda che vantava crediti, possedeva immobili e numerose attrezzature edili.
Ma non è tutto.
Il fallimento è stato dichiarato dal giudice Patrizia Pasquin, giudice presidente della sezione fallimentare di Tribunale di Vibo Valentia.
A distanza di anni, l’ 11 novembre 2006 veniva data notizia in tutte le testate giornalistiche a mezzo stampa eTv la seguente notizia: “arrestato il giudice Patrizia Pasquin†. Si riscontra sul sito internet “ la REPUBBLICA. It – CRONACA : Riceveva dalla mafia una stabile remunerazioneâ€; Vibo, interrogato il giudice Pasquin ; Mastella: “Seguivo il caso da tempoâ€.
Le mie denuncie sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.
I giudici della Distrettuale Antimafia che accosero le mie denuncie, valutarono la vastità dei miei racconti e dei personaggi accusati, personaggi del mondo politico, amministrativo e mafioso, ma soprattutto, considerato il grave ed imminente pericolo di vita cui ero esposto io e la mia famiglia quale conseguenza delle mie denuncie, mi prospettarono l’assoluta necessità di allontanarmi con la mia famiglia dalla mia Regione e di entrare quindi sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione, lasciando così in tronco la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, il mio ruolo sociale e di riflesso anche mia moglie e i miei due bambini hanno subito con me l’ esilio.
Lì 6 giugno 2007