Perché la stampa italiana non racconta la verità sulla chiusura di RCTV in Venezuela?

di Roberto Laghi – Megachip/Off

Le immagini sono sempre le stesse, giornalisti in lacrime, imbavagliati con fazzoletti su cui sta scritto “Yo estoy con Rctv”, il tono degli articoli è sempre lo stesso: Chavez sta facendo un torto alla democrazia, Chavez chiude la televisione dell’opposizione, Chavez non tollera il dissenso interno e colpisce i media. La Repubblica , L’Unità , La Stampa , Corriere della Sera : l’accusa di aver partecipato al fallito golpe dell’aprile 2002 non sembra essere un motivo sufficiente (non lo è, di fatto: la televisione non ha partecipato, ne è stata colonna portante), come non sembra esserlo l’accusa di promuovere volgarità e pornografia costantemente (c’è chi scrive che lo faccia molto meno che qualsiasi canale italiano…). Per il giornalismo italiano c’è una sola parola: censura…

La chiusura di Rctv, sostituita da un canale pubblico, in realtà avviene per il mancato rinnovo della concessione dell’uso delle frequenze: in Italia, quando le frequenze devono essere liberate si fa finta di niente, si tira avanti e in un qualche modo le cose si sistemano. Non per tutti, ovviamente.

E di fatto Rctv non sparirà, ma continuerà a trasmettere via cavo e via satellite: sui giornali di casa nostra questo viene presentato come una sorta di riscossa del canale privato.

Ma fare parallelismi e facili ironie con la situazione italiana è fuori luogo, nonostante il numero due di Rctv dichiari che non rinnovare loro la concessione all’uso della frequenza è come se in Italia venisse chiusa la Rai. A sentirlo così, fa un po’ strano. (Sì, di colpi di stato pronti per essere attuati ce ne sono stati, nel nostro Paese, e la Rai doveva essere – ovviamente – occupata. Ma ci siamo fermati sempre un passo prima). In realtà il tentato golpe dell’aprile 2002 in Venezuela è stato un atto completamente mediatico, basato ogni istante sulla manipolazione dell’informazione, del video. E non tanto perché non è stato mostrato quello che voleva il presidente, quanto perché è stata raccontata una realtà che non esisteva. Purtroppo ci sono stati anche i morti (e come raccontano le testimonianze, quasi esclusivamente tra i chavisti).

Non solo: durante quei giorni e durante i giorni dello sciopero dei dirigenti di Petroleos de Venezuela precedenti al tentativo di rovesciare Chavez, i giornalisti indipendenti presenti all’interno dei palinsesti del canale televisivo Rctv sono semplicemente stati cancellati dall’etere. E licenziati. All’inizio del 2003 circa 500 operatori dei media erano stati epurati.

Ma sicuramente in quel periodo i giornalisti italiani avevano ben altro a cui pensare.

Sul primo golpe mediatico della storia è stato realizzato anche un documentario, The revolution will not be televised , a opera di due registi irlandesi, che si trovavano a Caracas per girare un film su Chavez, finendo coinvolti negli eventi del 12 aprile. Ma, come scrive l’esperto di America Latina Gennaro Carotenuto, pare che contro Chavez vada benissimo qualunque accusa, anche falsa.

Anche perché ci stanno raccontando solo della chiusura di questa rete. Ma non, per esempio, che dopo l’elezione di Chavez i media privati – stampa e tv – si sono organizzati come veri e propri partiti per gettare discredito sull’operato del presidente e, cosa ancora più grave, sulla sua base elettorale e che, guarda caso, sapevano in anticipo le mosse degli “eventi spontanei” del tentato golpe dell’aprile 2002. I giornali italiani ignorano o vogliono ignorare? Non ci dicono, ancora, che negli anni della presidenza Chavez sono nati in tutto il Venezuela media comunitari: radio, siti, televisioni. La comunicazione è scivolata un po’ via dalle mani dei grandi imprenditori ed è ritornata in quelle della gente. Che sia anche per questo che i media italiani non ce lo vogliono raccontare? In Venezuela i media comunitari sicuramente fanno paura, e infatti i giornalisti indipendenti che ci lavorano sono stati più volte oggetto di aggressioni, minacce e insulti da parte dei media privati, come testimoniano Gonzalo Gomez e Martina Sanchez di aporrea.org, nella loro intervista a Narco News a un anno dal tentato golpe. Il dibattito sul ruolo dei media e sulla loro importanza da un punto di vista sociale e comunitario è probabilmente molto più avanti in Venezuela che non qui nel nostro Paese. Quello che continuiamo a chiederci è perché il giornalismo italiano si ostina a descrivere una realtà distorta, dando le stesse informazioni, quasi con le stesse parole, facendoci pensare che forse arrivare a fonti migliori potrebbe essere una soluzione intelligente, se quello che si vuole raccontare è la verità.

da OFF – quotidiano di spettacolo – www.offnews.biz

l’articolo l’ho tratto da questa pagina

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