quasi ogni giorno ci informano, ci aggiornano tramite i mezzi di controllo di massa sull’andamento della nostra economia.
Dobbiamo sorbirci i dati sull’andamento del PIL, sul debito pubblico e sul rapporto deficit/PIL.
Ma quanti di noi hanno la minima idea di cosa siano? quanti credono di saperlo? quanti si rendono ridicoli parlandone, talvolta infervorandosi? quante scelte di vita vengono fatte in funzione di questi concetti di cui non sappiamo il significato? quanti sacrifici, economici, sociali, familiari?
non ho minimamente intenzione di parlarne in questo articolo, sarebbe un argomento troppo vasto per farlo in questa sede (e poi è giusto che chi vuole approfondire certi concetti si dia da fare, si assuma la responsabilità di cosa leggere e cosa credere, possibilmente usando il proprio cervello)
però ho letto una frase che può essere interessante:
il concetto di “merce” è completamente diverso dal concetto di “bene”. Se la nonna accudisce suo nipote, produce un “bene”, ma fa diminuire il PIL, perché quella famiglia non si rivolge al mercato per sopperire ad un bisogno (Edoardo Zarelli)
i concetti di economia che ci propinano e che insegnano nelle facoltà di economia dovremmo conoscerli e valutarli, non accettarli passivamente e farci influenzare da questi nella nostra vita; l’economia “ufficiale” non ci azzecca quasi mai e produce continuamente situazioni conflittuali, miseria, guerra e abomini( malattie inventate con relative cure che uccidono per davvero).
Il motivo per cui l’economia “ufficiale” non funziona è semplice: sono sbagliati i suoi assiomi e i suoi principi fondamentali, tutti gli errori e gli orrori conseguenti non sono altro che ovvie conseguenze.
Sicuramente un punto di vista interessante, che cerca di scrostare quanto di “sacro” pare oggi esservi
nell’economia che nell’articolo è appellata come “ufficiale”. Frasi che inducono a riflettere, ma che talvolta
tradiscono un sentimento negativo e di totale rifiuto che non ritengo sia quello “corretto” da adottare
in reazione all’odierna situazione dell’economia nei Paesi sviluppati e capitalistici. Si potrebbe cadere
nell’errore, forse meno grave ma altrettanto peccaminoso, di replicare concetti e notizie per distruggere
un sistema nato con precise assunzioni ideologiche e votato al raggiungimento di specifici scopi. Si può
non condividere che il capitalismo è implicitamente “razzista”, scindendo in principio capitalisti e lavoratori,
e considerando l’uomo come fattore produttivo, ma non si può negare che consente l’accumulo di “capitale”,
nella sua accezione e definizione capitalistica. In due termini, no agli estremismi di pensiero. L’economia è
una scienza sociale, non una fede religiosa o una squadra per cui tifare.
Infine, due parole sul concetto di “bene”. il bene assume significato di “cosa giusta, moralmente corretta”,
ma anche di “ciò che serve a soddisfare un bisogno” (dal dizionario De-Mauro). Il punto è che il PIL considera
i beni scambiati, non gli intermedi. E’ una mera misura per quantificare quanto si produce. Giustamente non
bisogna “osannare” il PIL, ma neanche cadere in banali finti paradossi come quello presente nella frase di
Zarelli. Il Pil non sintetizza le nostre economie è uno dei tantissimi indicatori di sintesi. Il guaio, a mio avviso,
non è nell’indice (che ha il compito di descrivere un fenomeno), ma in chi si accontenta di un numero
per descrivere sistemi complessi.
Un dibattito che necessita di tempo e conoscenze, e pochi pregiudizi.